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Seria A, perché Giuseppe Conte continua a dire no ai tifosi allo stadio?

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Dietro il piagnisteo del mondo pallonaro sulla mancanza dei tifosi allo stadio, perché "è la gente il vero motore del calcio", sono loro "il simbolo della passione", "giocare senza tifosi è come per un cantante esibirsi senza nessuno che ascolta" (ct Mancini dixit) c'è soprattutto il fatto che i quattrini che tengono in piedi il baraccone girano proprio grazie agli appassionati e quindi lisciar loro il pelo è indispensabile. Sono affari, è strategia, è politica. La stessa politica che, dall'altra parte della barricata, il governo sta portando avanti in direzione opposta, vale a dire insistere nel vietare la riapertura degli stadi di calcio. Domenica si potrà andare al circuito del Mugello per vedere il Gp di F1, e sempre fra sette giorni ci sarà gente sulle tribune di Misano per il Motomondiale; 200 tifosi sono stati ammessi a Masnago per il derby di Supercoppa di basket Varese-Cantù e addirittura 1.207 a Bologna per Fortitudo-Virtus.

I cinema sono aperti (venerdì erano 2.308 in tutto il Paese), le arene estive pure, i teatri anche ma no, il calcio no: nonostante fra due settimane parta la serie A 2020/21, al momento Giuseppe Conte fa muro, «per quanto mi riguarda la presenza allo stadio così come a manifestazioni dove l'assembramento è inevitabile, non solo sugli spalti ma anche in fase di entrata e uscita, non è assolutamente opportuna», spiega alla festa del Fatto Quotidiano, dove evidentemente o non c'è tanta gente oppure si può assembrarsi attorno al presidente del Consiglio in barba alle regole, così come si può partecipare tranquillamente agli eventi, che siano culturali o gastronomici (la parte buona, senza discussioni) delle Feste dell'Unità. Insomma: compagni sì, tifosi no. Ma perché Conte si ostina a non togliere i lucchetti, spalleggiato da Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto superiore di sanità? Sminuendo anche l'importanza dell'industria dello sport? Forse perché sanno di avere in mano un'arma di distrazione di massa? Forse perché sanno che se sarà dato il via libera al pubblico per il calcio sarà poi difficile imporre e giustificare qualsiasi altro tipo di chiusure forzate?

Eppure, per l'amichevole Napoli-Teramo i partenopei hanno aperto i cancelli affidandosi al buon senso dei fan; stessa cosa per il test Alessandria-Samp; in Germania la Bundesliga ha detto sì, in Francia la Ligue 1 ha avviato la nuova stagione con impianti aperti e capienze ridottissime, 5mila persone e non di più. Ieri, visto il dato in crescita dei contagi, in particolare nella Borgogna, il Dijon ha comunicato che tutte le partite organizzate allo stadio Poussots si giocheranno senza spettatori, fino a nuovo avviso. Una marcia indietro evidentemente supportata dai fatti che tuttavia non è stata accolta con sommovimenti di piazza e che certo non ha neppure portato al facile sillogismo "stadio aperto uguale più contagi".

Per fare degli esempi, impianti come il Meazza di Milano (capienza di 80.018 spettatori), l'Olimpico di Roma (72.698), il Franchi di Firenze (43.147), l'Allianz di Torino (41.507) non sarebbero in grado di garantire il distanziamento di 5mila tifosi? Come vendere i biglietti? Magari i tifosi potrebbero acquistarli in appositi "click day" su internet organizzati dai rispettivi club: nelle grandi gare di ciclismo amatoriale (la Hero, l'Eroica) è prassi da anni. In base ai biglietti venduti, poi contingentare le vie e gli orari d'accesso, distanziare i posti in tribuna dove ognuno ha il sediolo numerato, posto nominale e da lì non ci si muove. Sgarri? La telecamera ti riprende, vieni segnalato e scatta il Daspo. Conte si rifugia dietro il doveroso ma anche comodo tema della salute: o forse gli va bene che gli stadi restino chiusi perché è meglio tenere il popolo con le mascherine ben tirate su?

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