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Coronavirus, il governo apre i negozi e si lamenta perché ci andiamo: l'ultima ridicolaggine

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Alessandro Giuli
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Il governo dei virologi giallorossi riapre i negozi ma poi si lamenta se i cittadini ci vanno a fare lo shopping prenatalizio, sia pure stando ordinatamente in coda e con le mascherine sul viso. Era fatale che qualche assembramento si verificasse, una volta declassata l'emergenza pandemica del nord-ovest danaroso e produttivo (Lombardia e Piemonte da rosse ad arancioni, la Liguria in giallo), ma non era scontato che alla prima uscita dei cittadini dopo l'ennesima reclusione seguisse l'immediato fuoco di sbarramento delle autorità (in)competenti. Una posizione incongrua e demonizzante perfettamente sintetizzata dalle parole rilasciate a Radio24 dalla sottosegretaria alla Salute, Sandra Zampa: «È abbastanza sconcertante che le persone stentino così tanto a comprendere la gravità della situazione e il fatto che queste situazioni dipendono dai comportamenti di ognuno di noi. Siamo tutti tenuti in questo momento a comportamenti virtuosi Io nei giorni scorsi avevo detto che i presidenti delle Regioni dovrebbero capire che dobbiamo lavorare tutti insieme nel rigore e che scegliere di restare in una situazione più restrittiva, anche se hai possibilità di riaprire di più, tutto sommato non farebbe male». È una singolare concezione del rigore, questa, di fronte a una boccata d'ossigeno indispensabile ma forse insufficiente per gli esercenti colpiti dagli effetti della pandemia.

 

Basterebbe citare i dati della Confcommercio per scoraggiare certe posizioni intimidatorie: a dicembre i consumi delle famiglie caleranno almeno del 12 per cento rispetto all'anno scorso; ed è in netta riduzione anche la quota di coloro che faranno regali: erano quasi l'87 per cento nel 2019, saranno poco più del 74 per cento quest' anno. Ecco perché bisognava salutare con un minimo di ottimismo le colonne di consumatori intruppati domenica davanti ai 12mila negozi lombardi liberati da una serrata altrimenti letale. E invece no: nella guerra delle parole contro il senso di responsabilità degli italiani si è subito aggiunto il coro degli infettivologi più allarmisti, come il solito Massimo Galli dell'ospedale Sacco-Università degli Studi di Milano - «così non potremo che rivedere una situazione simile a quella che abbiamo già vissuto» - o dei tecnici del Cts come Agostino Miozzo: «Se questa è la dimostrazione, l'immagine del poco rispetto delle regole di prevenzione della trasmissione del coronavirus, allora ti preoccupi».

LO SCARICABARILE
Se fra i 5 stelle domina una confusione cronica e punitiva, nel Partito democratico dovrebbero ancora esistere sensibilità attente alle esigenze dei privati e dei settori più dinamici della società. Per ora se ne fa pallido e solitario interprete il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, secondo il quale «è inevitabile che quando si riaprono attività commerciali ci sia la voglia di tornare in giro, ma quello che non può essere naturale è non rispettare le regole». Stupisce, invece, la reazione remissiva del presidente piemontese, Alberto Cirio: «Quello che ho visto in alcune vie a Torino mi riporta con la mente in estate e non possiamo permettercelo chiederò al prefetto interventi rigorosissimi».

E a sorprendere non è certo la pretesa di controlli implacabili, quanto il fatto che sopraggiunga il giorno dopo la riapertura e non alla vigilia di un sacrosanto (e scientificamente motivato) allentamento nelle maglie del lockdown sotto mentite spoglie cui si sta sottoponendo l'Italia. Piuttosto che alimentare la narrazione colpevolista, non sarebbe stata più opportuna un'autocritica? Esiste in effetti un punto di vista politico e culturale da sottolineare, di là dalle questioni squisitamente economiche ed epidemiologiche. Sul filo tagliente del rapporto tra lavoro e salute, il governo di Giuseppe Conte sta giocando una partita pericolosissima per sé e per la sopravvivenza psicofisica dei cittadini. In questa dialettica, non potendo far prevalere in modo irragionevole il principio di precauzione, la via più breve per mascherare le proprie inadempienze e proteggere lo status quo coincide con lo scaricabarile: quando non è colpa delle Regioni o degli altri enti locali, sono gli italiani a finire nella gogna mediatica.

TRA LAVORO E SALUTE
È un diversivo conclamato, una forma di deresponsabilizzazione preventiva e consuntiva fondata sulla rappresentazione del popolo sfinito dalla pandemia come di un gregge sbandato, bisognoso di cure selettive paternalistiche o di punizioni esemplari. È così che scolorano, sino a uscire dal cono di luce, i ritardi della sanità pubblica nell'allestimento dei presìdi sanitari territoriali e nel tracciamento dei contagi, le lentezze del commissario Domenico Arcuri e le inefficienze ministeriali nel rafforzamento dei sistemi di trasporto e nel (mancato) ripristino delle lezioni studentesche in presenza.

Piuttosto che ammettere l'impreparazione istituzionale con la quale si è giunti all'appuntamento con la seconda ondata di Sar-CoV2, è molto più facile prendersela con i negozianti e con quel che resta dei consumatori. Ovvero con le partite Iva, il vero "nemico di classe" di un governo ispirato dalla protezione esclusiva delle rendite pubbliche, e con gli ultimi lacerti di autodeterminazione sociale di cui si è fatto portavoce il direttore dell'Ufficio studi di Confcommercio, Mariano Bella: «Dicembre resta comunque il mese più importante dell'anno e potrebbe valere ancora di più se ci fossero condizioni più favorevoli di contesto e di fiducia». Più nel dettaglio, tra gli effetti involontari del primo lockdown c'è una crescita dei risparmi fino a 80 miliardi di euro in più rispetto al 2019: «Molti italiani potrebbero spendere le risorse accumulate le famiglie sono pronte a fare la loro parte, quando la fiducia migliorerà». La scommessa sta appunto qui: evitare che un malinteso senso di autoprotezione, se non proprio la cattiva coscienza di alcuni incapaci al potere, vanifichi la possibilità di un piccolo rimbalzo economico provvidenziale per il commercio e per la speranza comune di poter tornare a un minimo di normalità natalizia. Prima di sparare nel mucchio, bisogna pensarci.

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