Cerca
Cerca
+

Roberto Speranza e lo stop allo sci: il ministro non sa che pesci pigliare e chiude tutto

Alessandro Giuli
  • a
  • a
  • a

Altro che riaprire l'Italia, tornare alla vita e perfino a sciare come in Svizzera (lì tre mesi d'impianti aperti a zero impatto pandemico, qui la proroga del blocco fino al 5 marzo, decisa ieri dal ministro della Salute Roberto Speranza): vogliono rinchiuderci di nuovo come topi dentro i tombini, poveri e disperati, sussidiati come mai vorremmo essere e come mai ci aspetteremmo da un premier come Mario Draghi. E invece ieri ci è toccato ascoltare quel teschio involuto di Walter Ricciardi, consulente di Speranza, per comprendere che la musica non cambierà se non in peggio: «È evidente che la strategia di convivenza col virus adottata finora è inefficace e ci condanna all'instabilità, con un numero pesante di morti ogni giorno»; quanto allo sci: «Non sono più le condizioni». Lo dice così, Ricciardi, con la flemma del ragioniere cimiteriale, come se non ci fossero soprattutto lui e i suoi sodali (politici e no) dietro a questo immane disastro inflitto all'Italia dal coronavirus: «È urgente cambiare subito la strategia di contrasto al virus Sars-Cov2; è necessario un immediato lockdown totale in tutta Italia, che preveda anche la chiusura delle scuole facendo salve le attività essenziali, ma di durata limitata».

 

 

 

Ricciardi forse non si rende conto né delle responsabilità del Cts né dell'urto psicologico procurato dalle sue parole: invece di telefonare a Speranza, invece di porre la questione nelle sedi opportune, preferisce straparlare alle agenzie esattamente come avvenuto ogni giorno negli sciagurati mesi del governo Conte, palcoscenico dell'inane vanità virologica e causa efficiente della sconfitta materiale di un intero sistema. Si badi bene: nessuno può sottovalutare l'incidenza delle varianti di Sars-Cov2 in circolazione, i primi ad ammetterlo sono i cittadini italiani che attendono dal nuovo governo un deciso cambio di passo anzitutto in termini sanitari. Nessuno intende fingere che non esista lo studio algoritmico su cui si basano le velleità liberticide di Ricciardi, quello condotto dagli esperti dell'Istituto superiore di sanità, del ministero della Salute e della Fondazione Bruno Kessler nel quale si fa luce sui parametri di 16 regioni e province autonome in cui è emersa la presenza delle varianti nell'88 per cento delle zone esaminate (percentuali comprese tra lo 0 il 59 per cento). E tuttavia, al di sotto della fredda algebra scientifica, resta inevasa la questione di fondo: come la spiegheranno agli italiani questa nuova torsione detentiva, ammettendo la totale inefficienza di chi finora era tenuto a fronteggiare la pandemia o colpevolizzando nuovamente i cittadini e le piccole imprese cui ci si appresta a sparare il colpo di grazia alla tempia?

 

 

 

Ma il punto vero è un altro e riguarda il primo campione dell'attuale fallimento in odore di riconferma, dopo Speranza, nel quadro tecno-politico disegnato intorno a Draghi: il super commissario Domenico Arcuri che guida la lenta e narcisistica campagna vaccinale. Se i morti sfiorano quota centomila marcando un record planetario in rapporto alla popolazione complessiva, se l'Italia ha rinunciato a produrre vaccini o ad accordarsi privatamente con le case farmaceutiche che li diffondono, se riceve dosi insufficienti di sieri anti Covid e non ha ancora predisposto un piano alternativo a quello basato sulle incomprensibili primule rosse ideate dall'archistar Stefano Boeri, davvero qualcuno pensa che possa reggere la linea difensiva per cui siamo i meno sprovveduti in Europa? A parte il fatto che a questa obiezione ha già risposto da par suo Roberto Burioni - bene che vada saremmo al primo banco nella classe dei somari europei - occorre valutare tutti gli indicatori di una nazione ridotta a brandelli colorati come il vestito di Arlecchino e colpita più di ogni altro Stato nel comparto economico-produttivo. Le statistiche alle quali sempre si aggrappano gli scienziati dicono pure che l'Unione europea tornerà al Pil pre-Covid nel 2021, ma l'Italia no: neanche nel 2022. Figurarsi se la strada obbligata, ancora una volta, sarà quella delle serrande abbassate, delle scuole chiuse ai giovani futuri asini e dei domiciliari con alcol e psicofarmaci in abbondanza per tutti. Sappiamo bene che Draghi non è il dio della medicina e non possiede la verga magica di Esculapio; epperò ci risulta che sia stato chiamato dal Quirinale, con il Parlamento azzerbinato ai suoi piedi, anche per risparmiarci la somministrazione dell'identico teatro dell'assurdo esperito nel 2020.

 

 

 

Dai blog