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Sergio Mattarella, il passo indietro spaventa Pd e M5s: "Nessuno da opporre a Draghi", si avvicinano le elezioni

Marta Cartabia sarà in carica 9 mesi

Fausto Carioti
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Mario Draghi non ne parla nemmeno in privato. Gli altri papabili per il Colle, però, a qualche confessione si sono lasciati andare. A chi aveva la confidenza per chiedere loro cosa si prova a essere in corsa per la carica più alta,tutti, sino a ieri, hanno risposto con la stessa formula: «Non c'è nessuna corsa, rieleggeranno Sergio Mattarella». Voci giunte all'orecchio del diretto interessato, il quale è stanco di sentirsi attribuite intenzioni che non ha. Così ieri lo ha ridetto, in termini ancora più chiari: «Tra otto mesi il mio incarico termina. Io sono vecchio, potrò riposarmi».

Ed è vero che nel momento decisivo tutto potrà cambiare, ma è vero pure che Mattarella ha detto ciò che pensa, anche perché il principio della rieleggibilità del presidente della Repubblica non lo convince: fosse per lui, il mandato non sarebbe rinnovabile. Così facendo, ha creato a Enrico Letta e a ciò che resta dei grillini un problema grosso come il Quirinale. Non perché il segretario del Pd puntasse a confermare Mattarella sul Colle. Il capo dello Stato aveva già fatto sapere che mai sarebbe rimasto lì per più di nove anni, ossia quanto dura la carica più lunga prevista dalla Costituzione, quella dei giudici della Consulta. Significherebbe far eleggere il vero successore di Mattarella dal prossimo parlamento, nel quale il centrodestra ha alte probabilità di controllare la maggioranza assoluta dei seggi. Letta e Giuseppe Conte, insomma, sarebbero stati ben lieti di candidare Mattarella per un nuovo settennato, ma non per un biennio. Ipotesi che appare evaporata, in ogni caso.

 

 

 

Il loro problema adesso è un altro: la rinuncia di Mattarella dimostra che la coalizione giallorossa, tuttora maggioritaria in parlamento, un candidato per il Colle non lo ha. Al contrario del centrodestra, pronto a lanciarne uno al quale è difficile dire no. Come ha annunciato ieri Matteo Salvini, «se il presidente Draghi ritenesse di proporsi, avrebbe il nostro convinto sostegno». Sul quale potrebbe convergere tutta l'alleanza, se non altro perché il trasloco dell'ex presidente della Bce segnerebbe, con ogni probabilità, la fine della legislatura. Dal Quirinale, Draghi continuerebbe a garantire sulla credibilità internazionale dell'Italia e sui nostri Btp, e pazienza se per farlo in modo efficace dovrebbe usare poteri che la Costituzione non gli assegna. Ovvio che i giochi sono ancora da fare, ma l'autorevolezza del candidato e la prospettiva del voto anticipato bastano a spaventare i giallorossi. Il terrore traspare dalle parole di Letta, precipitatosi a dichiarare che lui e il Pd difendono la «continuità di governo»: un modo felpato per dire che Draghi lo preferirebbero a palazzo Chigi anziché al Quirinale.

 

 

 

Per fermare Draghi, però, lui e i suoi alleati grillini debbono tirare fuori un nome, che al momento non hanno e nemmeno s' intravede. Pure Matteo Renzi vuole che il premier resti dov' è, però il capo di Italia viva ha in mano due buone carte per il Colle, da calare al momento opportuno: Pier Ferdinando Casini e Marta Cartabia. Letta potrebbe anche digerirle, soprattutto la seconda. Il problema sono i Cinque Stelle, che mai potrebbero schierarsi per il guardasigilli, se davvero cancellasse l'obbrobriosa riforma della prescrizione disegnata da Alfonso Bonafede. C'è l'eventualità, insomma, che Renzi spacchi i giallorossi e costringa il Pd ad accodarsi alle sue posizioni. Non sarebbe la prima volta, ma col Colle di mezzo si tratterebbe di uno smacco enorme.

 

 

 

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