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Renato Farina, contro lo sfruttamento che la sinistra fa dell'ultima lettera di Seid Visin

Renato Farina
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Seid Visin, 20 anni, si è ucciso. Le fotografie sul campo di calcio mostrano un volto dolcissimo su unfisico perfetto, di quelli che le ragazze ti rincorrono. Adesso è facile intravedere nella piega dei suoi occhi una premonizione, il presagio di una scelta di brutale dolore. E gli specialisti delle «cronaca di un delitto annunciato» hanno rintracciato con sicurezza scientifica il movente: il razzismo. Davvero volete chiuderlo nella bara per il comodo delle vostre analisi sociologiche sul popolo italiano forgiabile per tutti gli usi? Ieri comunità esemplare di cui essere orgogliosi nel mondo per la sua capacità solidale di resilienza alla pandemia.

Oggi plebaglia infame che getta dalla rupe Tarpea i bravi ragazzi colpevoli di essere neri. È la riduzione a merce, da piazzare un tanto al chilo, di ciò che non dovrebbe rientrare nel catalogo della propaganda, perché attiene al mistero della libertà. Seid non era anzitutto un ragazzo nero, era un ragazzo. Quarantatré anni fa si suicidò a Milano un altro ventenne, era di Avanguardia operaia, tutti si accanirono a dare interpretazioni ideologiche. Il grande Giovanni Testori rispose dal fondo di quell'abisso con una domanda:«S. ha scelto la morte. Quale amore cercava?». Un enigma che nessuno può rinchiudere nel perimetro del già saputo. Invece su Seid Visin tutti credono di sapere tutto. Sono disposti a esibire le prove. Hanno identificato la mano assassina. Non qualcosa dentro Seid ma un mostro fuori di lui, e cioè l'odio razziale, e via con l'identificazione degli istigatori di questo suicidio, la pista porta a destra, al popolo che vede male i migranti, gli stranieri, e su su ai leader, alle politiche di chiusura dei porti eccetera.

 

 

 

Seid chi era? Nato in Etiopia, adottato da una famiglia di Nocera Inferiore (Salerno) a sette anni, accolto dal puro amore di genitori splendidi. Bravissimo calciatore, una promessa autentica, selezionato per il Milan, in camera con Donnarumma nella squadra giovanile, il massimo. Rinuncia però al calcio professionistico, non è chiaro perché, ma vuole studiare. Cosa voleva di più? Cosa cercava? Ed ecco la lettera depositata nel suo cassetto due anni fa. Sensibile com' era percepì l'enorme differenza tra l'esperienza dell'amore appreso in casa e quella del gelo esterno. Lo ha descritto così: «Ovunque io vada, ovunque io sia, sento sulle mie spalle come un macigno il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone».

La sua denuncia era sincera. Ba sta questo a chiudere il suo caso catalogandolo come delitto razziale? Chi lo ha amato di più lo nega. I genitori del ragazzo hanno dichiarato alla testata locale salernitana Tele nuova: «Il gesto estremo di Seid non deriva da episodi di razzismo». I genitori sono pazzi? Censurano il figlio? Coprono omertosamente i mandan ti? Impossibile. Hanno voluto che la lettera così amara di Seid fosse letta durante i funerali. Ma guai a consegnare il figlio ai cortei dell'ideologia. Semplicemente rifiutano l'autopsia dell'anima di Seid. Dinanzi al suicidio di questo ragazzo, in realtà, due risposte tremende sono in gara per il primato della meschini tà. La prima è quella dell'indifferenza, la morte degli altri che scivola via. Non mi assolvo. Essa è la più comune, se siamo onesti sappiamo che pochi secondi, e poi si passa ad altro, avendo ciascuno di noi già i suoi guai. Ma questo menefreghismo urta così tanto contro la nostra umanità che, appena uno se ne accorge, si vergogna, e non osa cercare pulpiti per menarne vanto.

 

 

 

La seconda risposta, che invece esalta sé stessa, consiste nel salire sulle spalle di quel dolore disperato per gridare: guardate Seid, il razzismo l'ha ucciso, se voi foste stati come me, sarebbe vivo e felice. Lo stanno facendo i mass media (Repubblica ha titolato: «Il suicidio di Seid Visin, vittima di razzismo»), Saviano che se la prende con Salvini e Meloni, i politici lestissimi a trasformare il togliersi la vita a vent' anni in una ghiotta occasione di marketing. Un punto in più nella partita a biliardo del consenso. In questo caso una morte così vale un filotto di birilli, uno strike al bowling. Ma neanche questa nostra polemica dev' essere il centro del caso di Seid. Sarebbe a sua volta meschinità, ideologia dell'anti-ideologia. In ginocchio. Ecco, mettersi un momento in ginocchio.

 

 

 

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