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Euro 2020, la festa nelle piazze: la bandiera tricolore spazza via quella arcobaleno

Giovanni Sallusti
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Ci avevano convinto che il tricolore fosse un ferrovecchio della Storia. Perché di fondo ci avevano convinto che lo fosse lo Stato/nazione. Mai come dopo serate così vale il sempiterno aforisma di Arrigo Sacchi, «il calcio è la cosa più importante delle cose non importanti». E allora capita che possa riscrivere priorità, rimettere in ordine il corso delle cose, perfino restaurare valori. Non è mica una parolaccia, "valori". Il tricolore è un valore, ce l'hanno detto le piazze, le osterie e le basiliche in cui è stato proiettato all'infinito da Trieste in giù, come cantava una grande italiana appena scomparsa.

 

Ce l'ha detto la principale agorà contemporanea, quella social, dove per una volta influencer milionari e smanettoni popolari condividevano lo stesso contenuto, l'unico, quel vessillo «verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni», come recita l'articolo 12 della Costituzione. La libertà di festa è riesplosa come un rigore sotto la traversa, ed è riesplosa anzitutto con un gesto: andare a ripescare quel vecchio, impolverato, perfino imbarazzante tricolore di famiglia. Perché l'imbarazzo non era nell'oggetto, l'imbarazzo era quello dell'unica ideologia sopravvissuta, provincialmente cosmopolita, aprioristicamente inclusiva, meccanicamente multiculturale, in una parola arcobaleno, di fronte a una delle ultime testimonianze identitarie sopravvissute: la bandiera.

 

Ci hanno provato, anche durante questo Europeo. Abbiamo assistito all'Uefa che ricolora integralmente il proprio logo appunto in stile arcobaleno, a vari capitani che riadattano le proprie fasce con la cromia cara alla comunità Lgbt, alla retorica razzista all'incontrario sulle "nazionali multietniche". È bastata un'epica finale per appurare che si tratta piuttosto di un complesso di colpa indotto, di un inganno dell'élite. Gli italiani non si vergognano di se stessi, di mostrarsi come tali, di avere una bandiera. Quando l'arbitro fischia e la Coppa è tua, non esistono le ideologie, esistono solo le storie, personali e collettive, quindi nazionali. Lo Stato/nazione è vivo, l'Italia è viva, il tricolore è vivo. Forse perfino in buona salute. 

 

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