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Tokyo 2020, perché il problema del Giappone sono i giapponesi: un'organizzazione imbarazzante

Daniele Dell'Orco
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Non ci sarà Leslie Nielsen come protagonista ma quelle di Tokyo saranno certamente le Olimpiadi più pazze del mondo. Perché quelle che inizieranno il 23 luglio saranno le prime in tempi di pandemia, ma pure perché dal Giappone ci mettono del loro per renderle ancora più complicate. Già nella primavera 2020 il Sacro Arcipelago si distinse per una politica di contrasto al Covid quantomeno singolare: pochissimi tamponi, zero terapie domiciliari, chiusure a singhiozzo. Il risultato? Quattro ondate malgestite, l'ultima delle quali in concomitanza con i Giochi, già rimandati di un anno. Tokyo fa registrare oltre 1000 nuovi casi al giorno dovuti alle varianti e il n°1 del Cio Thomas Bach e il premier Yoshihide Suga sono stati costretti a rinunciare al pubblico in presenza. Questo perché le vaccinazioni per gli anziani sono partite in ritardo siderale (solo a metà aprile), i giovani non vogliono saperne (per via della sfiducia cronica in Giappone verso i farmaci stranieri), la fornitura e la distribuzione sono state rallentate da problemi tecnici e carenza di operatori sanitari. In più, le Olimpiadi quasi nessuno le vuole. 

 

L'80% dei giapponesi avrebbe preferito annullarle, perché con le delegazioni che arrivano da oltre 200 Paesi e più di 80 mila persone tra atleti, staff, dirigenti e giornalisti che si mischieranno ai 120mila volontari, il rischio di nuovi cluster è alle stelle. E cluster significa restrizioni. E le restrizioni sono già costate 58, 57 e 29 miliardi di dollari nelle ondate precedenti. Cifre drammatiche, che messe a confronto con le potenziali entrate generate dalle Olimpiadi, tra i 15 e i 16,5 miliardi di dollari, sottolineano problemi Thomas Bach potenziali ben più grossi. Anche perché, con gli introiti dei Giochi il Giappone non arriverà nemmeno a coprire il budget iniziale: da 7,5 miliardi di dollari si è già passati a oltre 15, si chiuderà attorno ai 20. Insomma, non proprio un proverbiale esempio di gestione. I paradossi, tra l'altro, c'erano già prima del Covid. Quelle giapponesi dovrebbero passare alla storia come le Olimpiadi più "green" di sempre. Alcuni esempi: gli atleti dormiranno su materassi in cartone completamente ricin° 1 del Cio clabili, le medaglie sono realizzate con i metalli recuperati da apparecchi elettronici, la torcia olimpica è fatta con rifiuti di alluminio e i podi su cui vengono premiati i vincitori sono creati partendo da rifiuti di plastica. 

Allo stesso tempo, però, lo stadio olimpico da 2 miliardi di dollari quasi completamente in legno (anch' esso riutilizzabile) è stato costruito disboscando senza permesso le foreste pluviali (già martoriate) di Indonesia e Malesia. Una città già sovraffollata come Tokyo rischia di essere più cementificata che mai, e i comitati che si battono contro i Giochi hanno denunciato una gentrificazione monstre: lo sfratto cioè di fasce di abitanti poco abbienti. Attenzione poi al clima: l'estate di Tokyo è una commissione di alta temperatura e umidità che renderà difficile la vita agli atleti (nel 1964 si erano svolti a ottobre, ma le tv hanno detto no). Ora si è aggiunto anche un problema: l'immigrazione illegale. Julius Ssekitoleko, 20enne atleta ugandese di sollevamento pesi, appena atterrato a Tokyo si è dato alla macchia al grido di «in Uganda non ci torno». Lì non arrivano i barconi, ma con le Olimpiadi ci sarà pure da controllare i confini.

 

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