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Tokyo 2020, l'abbraccio tra Jacobs e Tamberi: finita l'era della decrescita felice, il mantra M5s

Gianluca Veneziani
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E dai, smettetela di raccontarci un'Italia rassegnata, ripiegata su se stessa, senza più slancio né volontà di andare veloce e in alto. Smettetela col vostro disfattismo e la vostra narrazione di un Paese cupo, intristito e infiacchito, destinato a procedere piano e volare basso. Per un attimo rinunciate alla vostra comunicazione luttuosa e deprimente e permetteteci di aprire, sognanti, gli occhi sulla realtà. Quella meravigliosa realtà che si è consumata ieri a Tokyo, nel giorno del Signore 1° agosto 2021, quando l'Italia è schizzata in cielo, sulla vetta del mondo, e ha bruciato tutti sul tempo in velocità, scrivendo una pagina che definire di storia sarebbe riduttivo, visto che ha più a che fare col mito (e del resto parliamo di Olimpiadi, che col Mito hanno una parentela stretta). È L'Italia che è andata letteralmente citius, altius, fortius, più veloce, più in alto e più forte, come vuole il motto olimpico. Ed è l'Italia migliore, perché capace di essere prima e di ripristinare un'età dell'oro, come il metallo delle medaglie, quella che si riassumeva nel balzo arcuato di Gianmarco Tamberi, neocampione olimpico nel salto in alto, e nella corsa forsennata, robusta come il suo fisico e lieve come i suoi passi, di Marcell Jacobs, primo italiano a partecipare a una finale delle Olimpiadi nei 100 metri e a vincerla. 2,37 e 9"80: in questi due numeri, corrispondenti ai metri saltati da Tamberi e al tempo registrato da Jacobs, c'è la formula magica di un trionfo sportivo, ma anche di un pezzo di rinascita morale e spirituale italiana. Le loro vittorie hanno un legame col passato che le ricollega a 41 anni fa, allorché Pietro Mennea e Sara Simeoni vincevano rispettivamente i 200 metri e la gara di salto in alto alle Olimpiadi di Mosca. E si inseriscono in una tradizione millenaria, quella di discipline nobilissime come velocità e salto, ponendosi simbolicamente in scia ai trionfi degli atleti dell'antica Grecia. Ma nel loro successo c'è soprattutto un invito ad andare oltre, in alto e in avanti, e a riguadagnare lo spazio e il tempo perduti in quest' ultimo anno e mezzo di semi-prigionia. In quel sorriso, in quel pianto e nell'abbraccio avvolto dal tricolore dei due atleti azzurri c'è un Paese che è molto migliore della sua rappresentazione e si è stancato di essere raccontato stanco, rinunciatario o addirittura felice della sua decrescita. C'è tutto lo sforzo di chi ha continuato ad allenarsi e a credere nei propri obiettivi e non si è convinto che, causa Covid e lockdown, la vita fosse finita. Anzi, proprio nel momento in cui gli venivano inoculate dosi massicce di torpore e di resa, ha rialzato la testa, levato il busto e fatto correre rapide le gambe. Attorno a loro c'è la compattezza del tessuto socio-culturale e dei corpi intermedi di questo Paese; l'etica del lavoro e la professionalità di federazioni e associazioni sportive e gruppi collegati alle forze dell'ordine, come quelle Fiamme Oro cui appartengono sia Tamberi che Jacobs, atleti della Polizia di Stato.

 

 

 

Che resurrezione

Quella che si è consumata ieri, così come già la vittoria degli Europei di calcio, è quindi una forma di resurrezione civile e patriottica, per quanto limitata allo sport. Vi si condensa lo spirito di un Paese che non ha smesso di credere di poter migliorare, nonostante la retorica dilagante dell'al peggio non c'è mai fine; né è sfilacciato e cinico come ci dicono, ma è ancora in grado di sentirsi una comunità, riconoscersi in una bandiera e non vede l'ora di ascoltare l'inno, come ha detto ieri Jacobs, subito dopo la vittoria. Identità patria proprio mentre si celebra il trionfo per eccellenza dell'Io, quello di un campione olimpico. Anche le storie individuali di queste due medaglie d'oro ci raccontano la tenuta e tenacia italiche (vi prego, non chiamatela resilienza). Tamberi nel 2016 aveva rimediato un infortunio un mese prima delle Olimpiadi di Rio: ieri, come un novello Enrico Toti che lanciò la stampella prima di dare l'assalto, si è liberato, mostrandolo a mo' di esorcismo, di quel gesso che lo aveva tenuto imprigionato.

 

 

 

La storia

Nella vicenda umana di Jacobs c'è invece un rapporto complicato col padre, che a lungo lo ha frenato nella corsa, bloccandogli testa e gambe; poi l'aiuto di una mental coach e il lavoro su se stesso gli hanno fatto riacquistare fiducia nel suo ruolo di figlio, di uomo e di atleta dal piè veloce. Ci avevano insegnato che col Covid era finita l'era delle illusioni e dovevamo guardare in faccia alla dura realtà. Ieri, grazie a Tamberi e Jacobs, abbiamo imparato che non solo le illusioni danno senso alla realtà ma spesso, realtà, lo diventano.

 

 

 

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