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Scienze per la pace, la laurea che spopola in Italia: università sempre più fabbrica di disoccupati

Giovanni Sallusti
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Lo spirito del tempo si annida nei dettagli, nella provincia, perfino nei corsi di laurea. Dal prossimo anno accademico, ad esempio, l'Università degli Studi di Brescia prevederà il corso magistrale in Scienze per la Pace. L'insegnamento esisteva già a Pisa, ma ora viene lanciato tra squilli di tromba arcobaleno come "progetto interateneo" e attecchisce nella città lombarda, una delle capitali industriali d'Italia e prossimamente anche levatrice di dottori in scienza irenica. L'avessero saputo Édouard Daladier e Neville Chamberlain, che la pace è una scienza esatta, oggettivamente trasmissibile e riproducibile, avrebbero senz' altro ricondotto alla ragionevolezza di un agnellino il signor Adolf Hitler, risparmiando al mondo una cinquantina di milioni di morti. È che non c'era quel piano di studi, negli anni Trenta.

 

 

 

IL PROGRAMMA
Vi preghiamo di non cedere all'ironia, perché la professoressa Eleonora Sirsi, presidente del Corso, presentando su YouTube l'allargamento bresciano, ha chiarito come il medesimo «mira ad offrire una solida preparazione che permetta di affrontare realtà complesse e conflittuali». Una volta ottenuto il pezzo di carta, grazie ad esami come Sociologia dei conflitti ambientali, Introduzione ai Peace Studies, Aggressività ed Approcci alla Riconciliazione (giuriamo che non c'entra nulla la scarsa fantasia del cronista, è tutta meravigliosa realtà), il pacifologo (questo sì è neologismo nostro, ma per distinguerlo dal banale e non scientifico pacifista) sarà in grado di trasformare il Medio Oriente in un laboratorio di convivenza multiculturale. Di nuovo, nessuna perbole: il curriculum che verrà approfondito a Brescia verterà proprio sul Terrorismo. Con le parole del professor Antonello Calore, direttore del Centro Studi University for Peace dell'ateneo lombardo: «Sulla soluzione dei conflitti non violenti relativi appunto al terrorismo». I noti "conflitti non violenti relativi al terrorismo": i cortei di protesta dell'Isis, i gazebo abusivi di Boko Haram, gli scioperi bianchi di Al Qaeda. Non può che essere l'ossimoro, la meta finale del percorso di studi in "Scienze per la Pace".

 

 

SAGGEZZA LATINA
Senza bisogno di una laurea magistrale, basta un buon sussidiario di quinta elementare per appurare che la pace non è una scienza e non è nemmeno oggettivabile come fenomeno scientifico, non presenta nessuna invariante né tantomeno nessuna ripetizione verificabile, è piuttosto un felice e faticoso stato d'eccezione nella storia umana, da costruire ogni volta daccapo. Serve l'intelligenza pratica, prosaica e multiforme della politica, per rendere duratura l'anomalia della pace, non i teoremi, le lezioni, i manuali astratti. E serve anche, come ricordava un certo Churchill nei suddetti anni Trenta, la disponibilità ad armarsi e perfino quella estrema a fare la guerra, per salvare la prospettiva della pace globale. Si vis pacem para bellum: bastava un motto della saggezza latina, e ci saremmo risparmiati l'ennesima laurea specialistica destinata a sfornare disoccupati. Per sovrappiù, convinti di avere in tasca la ricetta per salvare il mondo.

 

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