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Energia atomica, la storica ignoranza dei politici italiani sul nucleare: perché siamo indietro

Francesco Carella
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Non vorremmo essere nei panni del ministro Roberto Cingolani, il quale nei giorni scorsi da serio scienziato qual è ha detto senza mezzi termini che pensare di non utilizzare il nucleare di quarta generazione- sicuro e ottenibile a bassi costi sarebbe per il nostro Paese una pura follia. Il titolare del dicastero della Transizione ecologica rischia il linciaggio in un Paese segnato da una diffusa ignoranza scientifica - sia delle classi dirigenti che della pubblica opinione - e da una perenne ideologizzazione della vita politica.

 

Il pregiudizio nei confronti delle fonti energetiche nucleari non nasce in Italia, come comunemente si crede, nella seconda metà degli anni '80, quando all'indomani della tragedia di Chernobyl si rinunciò via referendum a uno sviluppo atomico nazionale autonomo, ma affonda le radici nella storia della Repubblica. Infatti, già a partire dai primi anni '50, un geniale scienziato napoletano, Felice Ippolito- al timone degli enti nati per occuparsi di energia atomica, il Cnrn e il Cnen - nel proporre l'opzione nucleare alla classe di governo dell'epoca si trovò di fronte a un vero e proprio muro di gomma. Alcune pagine del suo diario rendono conto di alcuni inediti che sembrano ricavati da un testo da teatro dell'assurdo. Egli racconta che all'indomani della costituzione del Cnrn, il ministro Piero Campilli, chiede udienza al presidente del Consiglio per illustrare i termini del progetto. La risposta di Alcide De Gasperi fu a dir poco imbarazzante: «Se proprio volete farla questa cosa nucleare, fatela pure!». Esilarante l'osservazione fatta dal ministro dell'Industria, Bruno Villabruna: «Ma come, non le abbiamo già le centrali?».

Annota sconsolato l'ingegnere: «Ho cercato di fare capire alla classe politica che avere una strategia nucleare autonoma significa fornire propellente alle strategie industriali e tecnologiche del proprio Paese. Purtroppo, mi sono dovuto scontrare con una caratteristica tipica della nostra classe dirigente: la completa ignoranza in campo tecnico-scientifico». Nondimeno, Ippolito riuscì ad elaborare e rendere operativo un progetto di sviluppo atomico considerato dal mondo scientifico fra i più avanzati dell'Occidente. L'Italia poneva le premesse, in tal modo, per divenire forte e autonoma sul terreno politico ed energetico. Ma il sogno si tramutò in un incubo. Il numero uno del Cnen nel febbraio '64 finisce in manette, con l'accusa di pesanti illeciti commessi in qualità di responsabile di un ente pubblico. Verrà condannato a undici anni di carcere.

 

Ne sconterà poco più di tre. Tornerà libero dopo un decreto di Grazia firmato da Giuseppe Saragat. Da quel momento in poi, l'Italia non riuscì più a trovare la forza per ripartire con una politica energetica che fosse in sintonia con le esigenze di una potenza industriale, mentre cresceva via via la nefasta influenza degli ambientalisti di scuola radical-chic. La paura seguita all'incidente di Chernobyl e il successivo voto referendario del 1987 (con una coda in una consultazione del 2011) posero i sigilli su quello che fu il grande sogno atomico nazionale. Intanto, a fronte di una catastrofe ambientale incipiente, il nostro è l'unico Paese economicamente avanzato che si ostina ad ignorare le nuove frontiere della ricerca nel campo elettronucleare.

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