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Greta Thunberg e compagni svuotano le nostre tasche: ecco perché è sbagliato inginocchiarsi ai "verdi"

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Greta Thunberg  

Renato Farina
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Sarà "un bagno di sangue". Non si sa se il salto riuscirà, e se davvero atterreremo in un mondo meraviglioso smaltato di fiorellini, come dice la propaganda. L'unica faccenda sicura è che il Green Deal, il Patto Verde europeo, in cui noi italiani siamo dentro fino al collo, lascerà sul selciato della disoccupazione milioni di disperati. La frase "bagno di sangue" l'ha pronunciata il ministro Stefano Cingolani. Il quale si batte per una "transizione ecologica" (così si chiama il suo ministero) che limiti i danni, consenta di far attraversare il limaccioso fiume della storia senza troppi annegati nella disperazione. Ha proposto il nucleare, che è - con le nuove piccole centrali americane e con quelle sotterranee - il metodo più economico, sicuro e pulito per produrre energia. Niente da fare. Vince la mitologia. E neanche lo scienziato al governo ci può far nulla. Lui e lo stesso Draghi si sono dovuti inchinare al teatro delle marionette allestito a Milano e denominato Youth4Climate, con 400 giovani certo bene intenzionati, ma che non sanno quello che fanno, almeno si spera.

 

 

Oggi bloccheranno la metropoli lombarda con l'ormai tradizionale sciopero climatico del venerdì (Fridays for future) inventato tre anni fa a Stoccolma. Qualcuno ricorda? Era stata Greta Thunberg, allora quindicenne, a inaugurare queste faccende. Sarà lei a guidare la manifestazione. La poveretta però è già diventata un cavallo vecchio. Non si sa se gliel'hanno detto, o ha capito da sola che la sua epoca è finita. Adesso infatti agita la criniera vincente, bella e commossa, scolpita nel fuoco africano, Vanessa Nakate, 24 anni, ugandese. Greta è apparsa in confronto alla star ascendente come la marionetta di ghiaccio che ha perso le trecce. E i 400 giovani delegati, ma soprattutto il sistema mediatico-finanziario che li nutre, ha deciso che la piccola vikinga va sistemata con un certo decoro nel ripostiglio del burattinaio. È matura per un Nobel, dopo di che darà interviste in qualche fattoria artica. Ciao Greta. Certo ci vorrà qualche tempo ad aggiornare ufficialmente le precedenze della nomenclatura green. Per questo prima Cingolani, ministro e poi, giusto ieri, Mario Draghi non hanno fatto in tempo a registrare il cambio, adeguando il protocollo al ranking, e così si sono rivolti anzitutto a lei come alla Regina, ma è stata una specie di cerimonia dell'addio, non per loro ma per la ragazza svedese scivolata nell'autunno della matriarca.

 

 

SOSTITUZIONE
I padroni della scuderia ipertecnologica, così gentili e così miliardari, hanno scoperto difetti inescusabili. Greta è inattuale. Bianca. Troppo apocalittica. Esageratamente pessimista. Questo linguaggio è stato perfetto per spaventare e vincere. Oggi occorre passare dalla fase del terrore climatico all'applauso per affrettare l'applicazione dei decreti attuativi del sacrificio umano di milioni di europei che perderanno il lavoro in nome della salvezza dell'ecosistema globale. Si tratta oggi di occultare, con dolcezza determinata, la visione di quanto costerà (oltre alla bolletta di luce e gas insostenibile per la gente comune, in nome della sostenibilità futura) la rivoluzione madornale che accadrà fregandosene delle conseguenze sociali, perché - come già predicavano Lenin e Stalin - conta solo l'avvenire. Greta non va più bene. Appartiene ai popoli del primo mondo, colonizzatore e capitalista, è stata seduta sul burro dei ricchi. Era il 2019 quando giunse all'apogeo della sua orbita galattica, con il viaggio su una barca a vela di ricconi per parlare all'Onu. Un millennio fa. A metterla fuori corso sono stati 1) Il movimento "Black Lives Matter", tutti in ginocchio. Lei ci si è buttata. Non è bastato. Occorreva una nuova icona nera; 2) Il clamoroso spostamento dell'Europa, favorito paradossalmente dal Covid, che ha accettato in pieno i dogmi dei poteri finanziari che si sono avvolti nel mito della purezza per lucrare profitti e potere.

 

 

BASTA CARBONE
Basta carbone, fine del C02, buttiamo via tutto, cambiamo la struttura intima dei macchinari, dei cibi, gli oggetti domestici, tutto. Questa ragazzetta svedese è stata piazzata sul palcoscenico della coscienza collettiva condizionando le scelte politiche dell'Occidente, e in particolare di Bruxelles. Le multinazionali ipertecnologiche, adesso che hanno ottenuto lo spostamento clamoroso delle risorse finanziarie e delle facilitazioni fiscali dell'Unione Europea sulloro progetto di economia green, riuscendo già a piazzarci sopra le loro zampe, dopo aver inquinato il pianeta puntano a gettare il loro magico mantello sull'Africa. Per questo hanno eletto la nuova regina Vanessa. Ora si tratta di spostare la guerra ecologica verso i Paesi che non hanno alcuna intenzione di adeguarsi agli standard imposti dalle élite bianche e ricche. Si tratta di far digerire in Europa i costi sociali di un cambiamento troppo precipitoso, elargendo fiducia (come ha fatto ieri sul Corriere la Nakate), e creare il nuovo mito di Vanessa come profeta di un nuovo sviluppo. Vedrete, si passerà alla fase del contenimento demografico, l'ecologia umana della contraccezione e dell'aborto selettivo come motore di civiltà da sempre promossa da quegli stessi apparati finanziari e culturali che hanno creato il mito di Greta. E ora la fanno scendere dal pulpito. Povera Thunberg. È in corso di mummificazione come il giovane Tutankamon d'Egitto. Defenestrata non per quel che appare evidente a chiunque ne abbia sentito i discorsi, fatti di pura astrazione emotiva, ma perché è una bambola che non va più bene per il nuovo gioco. Ovvio: il Green Deal europeo è a questo punto ineluttabile. Trilioni di dollari e di euro ne gonfiano ineluttabilmente le vele verso dove non si sa bene. Che la politica, dopo essersi inchinata a Greta e a Vanessa, cerchi almeno di difendere la povera gente perché non ne sia travolta.

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