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No green pass e proteste, ogni sabato un corteo: perché sembra di essere tornati negli anni bui

Renato Farina
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Ancora ieri, casini a Milano. Finiti i sabati di lockdown è arrivata l'epoca del tutti-a-casa-c'è-la-manifestazione-no-vax. È il tredicesimo sabato di fila che la metropoli più avanzata d'Europa è attraversata da cortei più o meno autorizzati. Ieri sul far del tramonto corso Venezia rimbombava ancora di slogan, e la serpentina di manifestanti incazzati attraversava, senza consenso della Questura, il centro. Come nei tre precedenti sabati, poi, non sono mancate le tensioni tra i dimostranti e la polizia. E intanto queste disordinate e tracotanti invasioni chiudono spazi di vita alla brava gente, rovinando il commercio e l'umore in un tempo storico già difficile di suo. Si lascia fare però.

 

Tutto questo ricorda qualcosa di lontano, eppure profondamente inciso nella mente come una ferita fresca, a chi ha più di sessant' anni. Questa sequenza di sabati tutti uguali ha infatti un precedente: gli anni '70. Dio ce ne scampi. Per favore nessuna nostalgia canaglia. Non è il caso. Si era giovani, ma c'era l'aria acre. I fumogeni non si spandevano solo per le strade e le piazze, ma avvelenavano le coscienze. Dominava la paura. A insufflarla nella gente comune provvedeva ogni sabato la manifestazione antifascista militante: contro la polizia, contro Rumor, viva Fanfani appeso per i piedi, Vietnam-libero- Vietnam-rosso, col sangue delle camicie nere faremo più rosse le nostre bandiere, Msi-fuori-legge. Non era una bella Milano. Poi sarebbe diventata peggio. Ci sarebbe stato il piombo.

 

Attenzione a non rimestare il pentolone del disagio. Possono sortirne vecchi fantasmi. Ho ritrovato tra i ritagli, a proposito di quei sabati milanesi, una rievocazione di Michele Serra su Repubblica, datata 2007. Scriveva: che meraviglia, «i cortei operai del sabato che arrivavano a tingere di rosso le strade del centro. E le cime degli striscioni di fabbrica andavano a sfiorare i balconi dei palazzi dei ricchi». Pura elegia rivoluzionaria, sembra di ascoltare in sottofondo «Anima mia» dei Cugini di campagna. Non fu così. Certo qualche corteo era pure di operai, ma quelli del sabato e anche quelli del venerdì erano dominati da caporioni studenteschi a braccetto con certe grinte che non c'entravano nulla con Cipputi provenienti dall'Alfa Romeo o della Sit-Siemens, che poi si scoprirono esser parte dei nuclei di lotta armata nelle fabbriche.

 

Questo il sabato, dedicato alle molotov. Gli altri giorni della settimana era un susseguirsi di spedizioni punitive dei katanga con le chiavi inglesi a sgombrare il campo da chi cercava di essere sé stesso, cattolico, liberale odi destra, in università e nella vita pubblica. Il rapporto del prefetto Mazza individuò inascoltato il pullulare di organizzazioni eversive. Fino a che, irraggiando da Milano all'Italia intera, l'area del comunismo armato arrivò a contare 30mila unità (le formazioni del terrorismo nero erano ugualmente sanguinarie, ma assai meno diffuse).

SILENZIO STAMPA C'entra qualcosa quanto sta accadendo in questi mesi a Milano con quel decennio post-68? Una cosa mi viene in mente subito. Il silenzio stampa sull'illegalità diffusa, il non dar voce allora sulla stampa della grande borghesia milanese ai pestaggi quotidiani, e al sentimento profondo del popolo di Milano e del suo grande hinterland, su fino alle Prealpi. In redazione dominava, come scrisse Michele Brambilla, l'eskimo, divisa della sinistra militante, dunque silenzio. Si sta ripetendo il vizio, anche se l'eskimo è stato rimpiazzato dagli occhialetti da studente di Harvard? È chiaro come il sole che, almeno a Milano, chi guida i no vax, di solito gente senza alcuna tendenza alla prevaricazione, sono i Centri sociali dell'ultrasinistra, o le cellule dell'anarchia insurrezionalista. È stato così nel corteo di ieri. A Roma? Stesso tipo di folla no pass non violenta, in piazza e nei cortei, ma con i trascinatori di opposto estremismo (Forza nuova) coadiuvati da una straordinaria mollezza dei responsabili dell'ordine pubblico che hanno consentito l'assalto alla Cgil. Per cui, giustamente, caso nazionale. Ma su Milano, niente, il silenziatore, per tredici volte di fila. Cosa si aspetta? Che assaltino chi?

 

DISAGIO C'è un'altra domanda. Fino a quando durerà la pazienza della maggioranza che una volta si diceva silenziosa ed oggi è più che altro intontita? È la tredicesima volta che la gente-gente si reca in pellegrinaggio festoso nel centro della metropoli, convinta anche ieri di vedere l'azzurro ottobrino sopra le guglie del Duomo, prendendo un caffè, facendo due compere con i bambini o i nipoti per mano, e ha dovuto ripiegare spaventata e furibonda verso casa. Chi si carica del disagio di questa maggioranza? La brava gente non riesce a costituirsi in movimento d'opinione ribellandosi a questa ribellione demente. È un'idea bislacca di libertà quella di consentire a una minoranza, che dice di lottare contro la dittatura sanitaria, di imporre intanto la sua dittatura del sabato pomeriggio, l'okkupazione dello spazio fisico e mentale del centro della città, schiavizzando ai propri voleri una maggioranza trattata da costoro come se fosse un immenso branco di pecoroni da rieducare.

Nei giorni scorsi Massimo Cacciari, assiso sopra la sua filosofia, ha spiegato che l'informazione sta tappando la bocca a una cospicua percentuale di italiani ostili a passaporto vaccinale e a immunizzazioni varie, e così accede alla violenza pur di far sapere che esiste. Aggiungeva: «Cossiga docet». Ed è vero che lo diceva. Se non scassi le vetrine e non tiri cubetti di porfido contro i carabinieri non esisti. Ma Cossiga invitata a trattare i manifestanti studenti e fancazzisti a pan per focaccia, anzi a menarli preventivamente, tutelando così per operai e lavoratori vari il diritto di godersi senza rotture di scatole il sabato del villaggio. 

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