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Vladimir Putin, perché è lo zar a tradire la Russia: la prova sta nella letteratura

Corrado Ocone
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Diversi organi di stampa si stanno sbizzarrendo in questi giorni nel compilare liste di "putiniani d'Italia", cioè di politici e uomini di cultura che giustificano l'intervento russo in Ucraina o che comunque sono comprensivi delle "ragioni" che avrebbero spinto Putin a infrangere così palesemente le regole del diritto internazionale. L'elemento che più viene messo in evidenza è il filo rosso che collegherebbe destra e sinistra, paracomunisti e parafascisti, in questa presa di posizione così poco allineata con la maggioranza dell'opinione pubblica. In verità, l'elemento comune, nell'un caso e nell'altro, è l'antioccidentalismo, la tendenza a fustigare l'Occidente, e l'America in primo luogo, deprecandone vere o presunte malefatte storiche o attuali. Eppure, gli antioccidentalisti non possono essere presi e messi in un fascio, confusi in una "notte in cui tutte le vacche sono nere" per dirla con Hegel. Prima di tutto, scansiamo un equivoco: anche se è il nostro oriente, così come lo sono tutti i Paesi del vecchio "Patto di Varsavia", la Russia è, per la sua cultura, Occidente a tutti gli effetti. 

 

Senza la sua grande letteratura ottocentesca, giusto per fare un esempio di attualità (dopo l'incredibile censura milanese a Dostoevskij), la stessa nostra identità culturale sarebbe monca e incomprensibile. Ed in effetti in molti, soprattutto a destra, contestano alla nostra parte di mondo, materialista ed edonista, di aver tradito i veri valori dell'Occidente che invece la Russia, con la sua "spiritualità", conserverebbe intatti o quasi e che anche noi dovremmo recuperare. Che è poi la narrazione avvalorata dallo stesso Putin, sulla cui veridicità è più che lecito dubitare, se non altro perché settanta annidi "ateismo di Stato" sovietico qualche effetto sicuramente lo hanno sortito. In ogni caso, tutta la vasta bibliografia sul tradimento che l'Occidente avrebbe compiuto di sé stesso, e quindi sul suo suicidio o tramonto, e sulla necessità di contrastarlo, vorrebbe più e non meno Occidente, ovvero vorrebbe sostituire quello "falso" che si è affermato con quello "vero" dei bei tempi antichi. C'è però poi anche chi, soprattutto a sinistra, alla metafora del tradimento preferisce quella del compimento: l'Occidente capitalistico avrebbe appunto realizzato i suoi principi, mostrato la sua vera faccia, feroce e disumanizzante, ed ora bisogna superarlo imponendo nuovi valori e realizzando la "vera" democrazia. Da qui l'attenzione per la rivoluzione e il sovvertimento dello status quo proprio dei marxismi e comunismi e l'apertura alle culture "altre" delle varie culture (o subculture) terzomondiste o multiculturaliste. 

 

Qui si chiede non più ma meno Occidente, non il vero Occidente ma l'altro dall'Occidente. Due forme di antioccidentalismo che coincidono, suppergiù, con le culture tradizionaliste a destra e con quelle del "politicamente corretto" a sinistra. E se la verità stesse al centro? Non potrebbe essere, voglio dire, che proprio la conflittualità che accompagna l'Occidente fra chi lo vorrebbe migliore e chi invece vorrebbe sorpassarlo sia ad esso vitale, cioè la cifra più vera della sua identità. La quale non è mai conclusa o definita, sempre imperfetta, tutta protesa ad evitare le reductio ad unum della realtà complessa del mondo da qualunque parte esse provengano. L'Occidente aborre quella uniformità o armonia, quella tranquillizzante vittoria di un "pensiero unico", che sognano e a cui anelano sia autocrati pericolosi come Putin sia i tanti illiberali di testa che affollano il nostro mondo. 

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