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Antonio Socci, "la carta vincente del centrodestra": quello che Meloni, Cav e Salvini non devono scordare

Antonio Socci
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È stato Henry Kissinger a esprimere un pensiero che oggi - potremmo dire - unisce quanti si oppongono alla deriva ideologica nichilista in America e in Europa. Dovrebbe essere meditato da tutti, ma temo che non otterrebbe applausi da sinistra. Mentre potrebbe quasi venire adottato dai tre partiti del centrodestra come loro carta d'identità ideale Dunque Kissinger ha scritto: «Un popolo non deve mai perdere la fede in se stesso; coloro che sguazzano felici nelle imperfezioni della loro società o le trasformano in una scusa per abbandonarsi a un'orgia nichilistica finiscono in genere col corrodere tutti i vincoli sociali e morali; e a lunga scadenza, con il loro attacco spietato a tutte le credenze, non fanno altro che moltiplicare le sofferenze». È un pensiero che vale anche oggi. Pure per noi, nell'Italia che si prepara alle elezioni politiche. Non vediamo forse da anni diffondersi un'ideologia nichilista che corrode «tutti i vincoli sociali e morali» e attacca duramente «tutte le credenze» e i valori del nostro popolo su cui l'Italia ha basato la sua ricostruzione, il suo miracolo economico e il superamento di tutte le crisi?

 

 


In effetti quello che distingue il centrodestra dalla sinistra non riguarda solo tasse, cartelle esattoriali, giustizia, immigrazione, burocrazia, incentivi allo sviluppo e all'occupazione anziché assistenzialismo e tutti gli altri temi che si dibattono. È una visione diversa del Paese. È una diversa valutazione della sua identità, dei suoi interessi nazionali e del suo ruolo nel mondo. È una diversa considerazione del valore degli italiani e del rapporto dell'Italia con l'Unione Europea. È una diversa concezione dei punti di forza del Paese che per il centrodestra sono anzitutto gli italiani, il loro lavoro, la loro capacità di iniziativa, di solidarietà, i loro legami sociali, morali e culturali. Sugli italiani grava una burocrazia che mortifica e soffoca, ma anche un clima culturale ostile. È dominante, soprattutto nei giornali e nelle élite, un'ideologia anti-italiana che non manifesta stima nella nostra gente, ma semmai diffidenza e aristocratico disprezzo. Non è tipico della sinistra il considerare gli italiani come sudditi da controllare e mortificare? È l'ideologia che ama esasperare i difetti che il nostro popolo ha (come ogni popolo), che ne irride i valori e pretende di "rieducarlo", che detesta la nostra tradizione culturale e la nostra identità storica (la quale non è contro nessuno, ma anzi è da sempre un prezioso dono per il mondo).

 

 


È l'altezzosa ideologia dei salotti che bolla come populista tutto ciò che è popolare, che condanna come sovranisti tutti coloro che rappresentano i bisogni reali della gente e che difendono il diritto degli italiani di essere "sovrani" del loro Paese (secondo l'articolo 1 della Costituzione). È l'ideologia di quelle "menti illuminate" (così si ritengono) che - come ha giustamente scritto Barbara Spinelli - considerano «il suffragio universale un azzardo pericoloso». Tanto che, comunque votino gli italiani, finisce per stare al governo sempre il Pd, il partito del sistema. Ieri su Twitter circolava un calcolo secondo cui, senza aver mai vinto le elezioni, dal 16 novembre 2011, quando si insediò l'esecutivo Monti, il Pd è stato al governo per 3.439 giorni su 3.900 (l'88,2 per cento del tempo). Di certo è determinante l'appoggio che viene al Pd dall'establishment e dall'estero, in primis da Bruxelles, ma l'analista Dario Fabbri - prendendo spunto dalle considerazioni di questi giorni sugli statisti stimati all'estero - ha spiegato che non bisogna dipendere dall'opinione altrui: «Draghi è bravo, fin qui siamo d'accordo.


Ma quando uno statista è molto apprezzato all'estero non vuol dire che sia bravo, vuol dire che lo considerano funzionale ai loro interessi, che è tutto un altro discorso (...). C'è sempre da insospettirsi quando un leader di una nazione è molto apprezzato da altri popoli che hanno altri interessi. Questo a noi sfugge totalmente. Ce lo dicono gli altri: vuol dire che a loro funziona, ma a noi funziona?». Questa considerazione deve far riflettere sul perché molti a Bruxelles prediligono il Pd al governo in Italia. Bisogna chiedersi se le politiche fatte finora a Roma su dettato europeo, hanno arricchito o impoverito il Paese. La risposta (drammatica) è la seconda.

 

 


LA PROFEZIA DI INDRO
Non si tratta di buttare a mare l'Europa, ma di difendere a Bruxelles i nostri interessi nazionali. Montanelli diceva: quando si farà l'Europa i tedeschi ci andranno da tedeschi, i francesi da francesi e gli italiani da europei. Sembra la fotografia di questi annidi governi Pd. E non è un caso se, invece, il governo Berlusconi, che era nato dal voto degli italiani del 2008, fu "abbattuto" nel 2011. Forse perché a Bruxelles prese una certa posizione di difesa degli interessi nazionali italiani? Se il centrodestra vincerà le elezioni si troverà a lavorare con una Ue che - anche con le recenti decisioni della Bce - di fatto pretenderà di dettare tutte le politiche economiche italiane. È accettabile che il governo eletto dagli italiani debba poi essere un mero esecutore di politiche decise altrove? È nell'interesse del nostro popolo? Non è auspicabile che anche l'Italia - come fanno già la Germania, la Francia e gli altri Paesi-vada a Bruxelles a difendere i nostri interessi nazionali visto che siamo da anni contributori netti? È una cattiva politica quella che di fatto ha espropriato gli italiani della loro sovranità, che ci ha sottomesso al dominio dei mercati e di tecnocrazie non elette di banchieri e burocrati stranieri, invocati da certi illuminati come un (da loro benedetto) «vincolo esterno». L'Italia non può e non deve fare la fine della Grecia. È una grande potenza industriale e può tornare molto prospera. Questa è la scommessa. Anche la sinistra e i partitini del centro dovrebbero capirlo. Difendere l'interesse nazionale deve stare a cuore a tutti. Questa è la vera novità e la vera riforma della politica.

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