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Roberto Speranza accolto con pugno chiuso e Internazionale? Ma nessuno grida alla minaccia rossa

Roberto Speranza  

Giovanni Sallusti
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Questione di orecchio, probabilmente. E quello del mainstream, si sa, è unidirezionale e monocorde. In questi giorni, i giornaloni di ambo le sponde dell'oceano ci vogliono convincere che quella che udiamo rimbombare è proprio la sirena dell'allarme fascismo, il pericolo concretissimo che correrebbe l'Italia del 2022: ripiombare in una dittatura sconfitta e scomparsa nel 1945. Se usciamo un attimo dal cortocircuito spazio-temporale, una notizia riportata ieri con alti squilli di tromba da uno dei suddetti giornaloni (Repubblica) ci ricatapulta nel presente. «Speranza dice sì all'offerta di Letta». Ovvero, il ministro della Salute capofila di un partito rosso-nostalgia farà parte del fantomatico "listone" dei Democratici e Progressisti, una parodia fuori tempo massimo dell'Ulivo.

MINACCIA ROSSA - Ecco, questo è proprio il genere di notizia che dovrebbe turbare seriamente, qui e ora, chiunque sia ancora affezionato a quell'anomalia della storia che è la libertà individuale. Giocando con le loro carte imbizzarrite, importando per un attimo la loro logica perversa che va a infastidire i fantasmi del Novecento, vien da dire che qui risuona forte e chiaro l'allarme comunismo. Non è così come sistema totalitario e omicida, ovviamente, non siamo né vogliamo essere come loro, non canticchiamo la nostra propaganda in bilico sulle cataste di cadaveri.

 

 

Come cultura d'appartenenza e visione del mondo, invece, giudicate voi il curriculum di Roberto Speranza, uno di coloro che dovrebbe salvare l'Italia dagli estremisti e dagli irresponsabili. Costui è anzitutto il ministro che in pieno Covid fece uscire un libro intitolato Perché guariremo, poi precipitosamente ritirato all'esplodere della seconda ondata, il cui passaggio-chiave scorgeva nella pandemia «una nuova possibilità di ricostruire un'egemonia culturale su basi nuove», «un'opportunità unica per radicare una nuova idea della sinistra». Cioè: a differenza di molti compagni giallorossi, Speranza ha bandito ogni ipocrisia, e l'ha proprio teorizzato: l'azione di governo non aveva come fine la gestione dell'emergenza, ma l'imposizione di una nuova egemonia culturale. Non guardava al contenimento del virus, ma alla costruzione dell'uomo nuovo. Che poi era il solito, vecchio incubo.

Nel tinello amico di Fabio Fazio, uno dei cantori della "nuova normalità" in era Covid (altro stilema ideologico speranziano), si spinse a caldeggiare la delazione reciproca tra vicini di casa, come ai cari, indimenticati tempi della Ddr. «È chiaro che aumenteremo i controlli, ci saranno le segnalazioni» annunciò serafico a proposito dei sovvervisivi incontri domestici tra "non congiunti". Preso dall'entusiasmo origliatore e punitivo, volle chiarire per bene la sua visione neomaoista del lockdown: «Proveremo a incidere su alcuni pezzi della vita delle persone che consideriamo non essenziali. Ci sono cose che sono fondamentali e cose che non sono fondamentali». Evidentemente, Speranza riteneva e ritiene che questa distinzione sia facoltà dello Stato: sta al Leviatano dirci cosa conta nelle nostre miserevoli vite, e cosa no.

 


 

VISIONE MISTICA - Il ministro ha incarnato una visione mistica e assolutizzata del Lockdown (non temporaneo male necessario, ma momento di rifondazione valoriale), potete chiamarla o no mistica comunista, certo non era "liberale" nemmeno nel senso innocuo e iper-edulcorato che l'aggettivo ha assunto nel Belpaese.

Del resto, il primo a non nascondere i propri simboli e i propri miti di riferimento è lo stesso Speranza, che ha chiuso il recente congresso del suo Articolo Uno sulle note... dell'Internazionale. E qui scusate, un minimo non diciamo di allarme, ma di brivido ideologico ci corre lungo la schiena, visto che parliamo di quello che fu l'inno ufficiale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, una discreta macchina di morte. Molti delegati in quel momento sentirono anch' essi un brivido, ma di entusiasmo, e sfoggiarono in diretta social il pugno chiuso, gesto difficilmente equivocabile e non esattamente foriero, ogni volta che è stato messo alla prova, di prosperità. Non risulta che Speranza si sia dissociato, non risulta si sia dissociato nemmeno il Letta che oggi li accoglie gioiosamente nel listone "antifascista". Ah già, c'è l'allarme.

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