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Matteo Renzi pensa all'europatrimoniale

Ignazio Stagno
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C'è qualcosa in più, adesso, della propaganda politica. Qualcosa di più concreto, anche se nessuna decisione - va detto - è ancora stata presa dal governo di Matteo Renzi, rispetto alle inconsistenti ideologie sbandierate da pezzi più o meno rilevanti della sinistra italiana. Quella che non vede l'ora di mettere la mani nelle tasche dei contribuenti, con una super stangata sui risparmi degli italiani. Certo è che le interlocuzioni e gli scambi di dati che si sono intensificati negli ultimissimi giorni tra la Banca d'Italia, l'Istat e il ministero dell'Economia attorno alle ipotesi di interventi fiscali sulle attività finanziarie fanno gola ai fan della patrimoniale. Guai a fare questo nome, ovviamente, nelle file dell'esecutivo. Chiunque giurerebbe di non averci mai pensato. Eppure esistono carte tecniche e simulazioni sui 3.670 miliardi di euro che le famiglie italiane posseggono in attività finanziarie: una ricchezza suddivisa principalmente tra bot e btp, obbligazoni, quote di fondi comuni di investimento, azioni, polizze sulla vita, conti correnti. Per capirci: un intervento una tantum pari all'1 per mille su questa montagna di quattrini, per fare un esempio, frutterebbe 3,67 miliardi. Per arrivare ai 400 miliardi suggeriti da Fabrizio Barca, ex ministro dell'esecutivo di Enrico Letta, l'asticella tributaria andrebbe alzata parecchio. Certo gli italiani-formichine continuano ad accumulare e a scatenare l'appetito del centrosinistra: da dicembre 2011 a marzo scorso, i soli depositi delle famiglie sono passati da 790 miliardi a 870 miliardi: un «gruzzoletto» di 80 miliardi che fa gola. Il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, è convinto che proprio il centrosinistra stia pensando seriamente a una maxistangata sui patrimoni, accompagnata da una tassa di successione con aliquota al 45 per cento. Nelle parole dell'ex presidente del consiglio prevale, ovviamente, la tattica della campagna elettorale. In ogni caso, sul tavolo del governo non ci sono decreti già scritti né bozze pronte per il consiglio dei ministri. Si tratta, come accennato, di valutazioni squisitamente numeriche, finalizzate a costruire alternative a chi, poi, deve decidere sul piano politico. Una manovra sui salvadanai delle famiglie, cresciuti nonostante la bufera, potrebbe prendere corpo come «piano B». Nel caso, a esempio, le coperture varate da palazzo Chigi per i primi interventi fiscali (il bonus 80 euro e il taglio Irap) si rivelassero inconsistenti, che poi è la tesi dei tecnici del Senato, finiti nel mirino di Renzi. Non solo. Misure d'emergenza potrebbero essere approvate - sostengono gli esperti che lavorano al dossier - qualora il quadro macroeconomico dovesse peggiorare: se la crescita del pil, che l'esecutivo indica a più 0,8% nel 2014, dovesse rivelarsi più modesta (come peraltro stimato da organismi italiani e internazionali) i conti pubblici potrebbero subire un contraccolpo non indifferente. Meno prodotto lordo, in soldoni, vorrebbe dire meno tasse nelle casse dello Stato. Un imprevisto buco nei conti pubblici che, soprattutto, porterebbe a un rapporto tra lo stesso pil e il deficit più vicino, se non oltre, la soglia critica del 3%. Sforare quel tetto imposto dai parametri Ue sarebbe una sciagura per il governo da evitare a tutti i costi. Perché una procedura di infrazione da parte dell'Unione europea pregiudicherebbe le ambizioni di Renzi e taglierebbe le gambe al ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, che sull'allentamento dei vincoli di bilancio sta giocando una delicatissima partita a Bruxelles. Tuttavia, l'Italia non è ancora fuori dalla bufera e la ripresa non è consolidata. Insomma, i rischi, al netto dell'ottimismo di Renzi e Padoan, esistono ancora. Ecco perché, a Roma, seppur tra mille scongiuri, si studiano alternative. Che, in ogni caso, non verranno nemmeno prese in considerazione a palazzo Chigi prima del 25 maggio prossimo. Al momento, peraltro, non è scattato alcun campanello d'allarme. Ma le ragioni della riservatezza sono principalmente politiche: la sola «voce» di una botta secca sui risparmi e sugli investimenti potrebbe compromettere l'esito delle elezioni europee. E il Partito democratico non può correre rischi col Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo che incalza ed è pronto a sfruttare anche il minimo scivolone. La posta in gioco è altissima. I ragionamenti tra gli esperti di Bankitalia, Istat e Tesoro ruotano attorno, in particolare, al fatto che la struttura del patrimonio delle famiglie sta cambiando pelle: meno mattone e più finanza, è la sintesi di un mutamento dettato dalla crisi finanziaria internazionale. Che tra il 2011 e il 2012 ha massacrato l'immobiliare, rendendo però progressivamente più appetibili i prodotti finanziari. Qui l'attenzione degli analisti si concentra soprattutto sui titoli di Stato: nel periodo nero, col debito pubblico italiano sotto pressione speculativa e lo spread a 570 punti, i risparmiatori che hanno scommesso su bot e btp sono stati «premiati». Il Tesoro, cioè, ha venduto obbligazioni con interessi anche superiori al 6%, oltre il doppio rispetto ai valori di questi ultimissimi giorni, col differenziale di rendimento tra Italia e Germania sceso sotto quota 150 e i tassi sotto il 3 per cento. Una manovra sui titoli di via Venti Settembre, secondo una delle ipotesi allo studio, servirebbe di fatto a riequilibrare l'extra costo pagato ai sottoscrittori. Si pensa, tra altro, a intervenire inasprendo il prelievo sulle rendite finanziarie: l'aliquota su bot e btp è rimasta al 12,5% sia quando il prelievo sulle altre forme di investimento è salito al 20% (nel 2012 con Mario Monti a palazzo Chgi) sia con l'ultimo inasprimento (targato Renzi) al 26 per cento. Una sperequazione al limite della legittimità costituzionale, stando ai giuristi di Bankitalia e Tesoro, che prima o poi potrebbe finire sul tavolo dei giudici di palazzo della Consulta. Un innalzamento dell'aliquota sulle obbligazioni statali finirebbe, però, col tradursi in una partita di giro per le casse dello Stato: che prima paga gli interessi appetitosi e un minuto dopo se li riprende con la mannaia fiscale. Padoan, si dice nei corridoi di via Venti Settembre, sarebbe contrario a questa impostazione che in effetti punisce chi ha contribuito, proprio con i suoi soldi, alla discesa dello spread. L'abbassamento del differenziale di rendimento, però, non ha ancora prodotto effetti positivi sul debito pubblico a cui lo stesso ministro guarda con preoccupazione. I risparmi più consistenti frutto dello spread basso arriveranno solo nel 2015. E una patrimoniale, oltre ad alleggerire il buco nei conti statali, potrebbe servire per ammorbidire l'impatto del piano di rientro imposto dal fiscal compact. Ma se ne riparlerà soltanto a urne chiuse. di Francesco De Dominicis @DeDominicisF

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