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Riccometro, puniti gli anziani

Oggi arriva il nuovo Isee con i requisiti per chiedere i servizi sociali: penalizzato chi ha donato la casa ai figli

Lucia Esposito
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  di Antonio Castro   Oggi Comuni e Regioni dovranno apporre il sigillo alla terza stesura della riforma dell'Isee (l'Indicatore di situazione economica equivalente). Una revisione, lunga e sofferta, per delimitare (e ridurre) chi ha diritto (e chi no) alle prestazioni sociali gratuite. A cominciare dal ricovero in strutture sanitarie assistenziali per gli anziani. Ebbene, andando a spulciare tra le bozze disponibili, l'ultima versione contiene una pericolosa retroattività (fino a 3 anni) sulle donazioni di immobili precedenti alla richiesta di assistenza in una struttura sanitaria (Rsa). In sostanza: l'anziano che chiede il ricovero si porterà comunque in dote anche il bene che ha donato, dacadendo così il diritto all'assistenza gratuita. Con questo meccanismo il nuovo Isee sarà più elevato e la compartecipazione alle spese di retta sarà molto più alta. Possono arrivare a sfiorare i 3mila euro al mese (mediamente 2.400 euro).  Un esempio pratico aiuta a raccapezzarsi meglio nel dedalo di normative e interpretazioni. L'anziano intenzionato ad entrare in una Rsa dona al figlio la casa di famiglia e poi presenta domanda, la donazione del bene immobiliare gli consentirebbe di abbattere il parametro Isee visto che anche i beni immobiliari (rivalutati pesantemente grazie all'Imu) rientrano nel patrimonio del richiedente. Ebbene se l'anziano ha donato la casa al figlio prima di presentare domanda, questo bene non è più in suo possesso costituisce comunque parte del patrimonio con una retroattività fino a 3 anni. E l'anziano - o i familiari - sarà costretto a partecipare consistentemente alle spese di retta anche se formalmente non dispone più di quel bene. Se però i redditi (o la pensione) non sono sufficienti a pagare la quota di retta mensile (che prevede anche la compartecipazione di Ssn e Comune), allora sarà il figli, o i familiari “civilmente obbligati”, a doversi fare carico delle spese di degenza. Poco importa se per pagare i 2.500 euro al mese di retta il bene, magari l'unica casa di famiglia, deve essere venduta.  Considerando che nelle Rsa ci sono circa un milione e mezzo di persone si intuisce il perché della fretta del governo di adottare i nuovi parametri Isee e di introdurre il valore degli immobili nel computo complessivo della “ricchezza”. È forse la retroattività che lascia un po' perplessi. Anche perché introducendo questa clausola si va a colpire il patrimonio delle famiglie. L'Isee non sarà più un parametro personale ma verrà allargato al nucleo familiare. Se è vero che gli italiani sono riusciti ad accumulare una ricchezza privata notevole (secondo un recente studio di Credit Suisse, la ricchezza degli italiani - patrimonio mobile e immobile - si avvicina ai 13mila miliardi di dollari, di poco inferiore a quella complessiva vantata da tedeschi e francesi), costringere le famiglie all'alienazione dei beni impoverirà progressivamente tutto il Paese. Tralasciando le valutazioni di un cambio epocale di direzione nell'assistenza sociale, probabilmente l'insistenza con cui si è voluto intervenire a fine legislatura sull'Isee lascia il sospetto che lo Stato intenda progressivamente ritirarsi da qualsiasi azione di welfare per i cittadini. Peccato che a un'ottica tanto liberista faccia da contaltare una politica fiscale estremamente aggressiva. Se è vero che non si può più garantire tutto a tutti, è però sacrosanto lasciare alle famiglie la possibilità economica di assicurarsi un futuro sereno e una vecchiaia dignitosa. Inserire clausole capestro retroattive come questa fa emergere solo la volontà di risparmiare (anche sulle rette dei non autosufficienti), ma senza garantire uno stato sociale degno di questo nome. Per di più impoverendo progressivamente la ricchezza delle famiglie. Se ci aggiungiamo l'andamento demografico della popolazione in Italia (rispetto all'Europa siamo tra i più vecchi), si fa presto a immaginare cosa succederà tra 20 o 30 anni.  Un modello di welfare - viene fatto notare - che a parità di tassazione dovrebbe somigliare più a quello del Nord Europa, dove lo Stato assiste i propri cittadini “dalla culla alla tomba”, e che invece si avvicina pericolosamente alla pragmatica Germania. Un  esempio: i concittadini di Angela Merkel prima di ricevere qualsiasi tipo di assistenza debbono dimostrare di non avere alcun bene.  Un disoccupato tedesco che non riesce a trovare lavoro ed è proprietario della casa dove vive (meno dei 45% dei tedeschi ha casa di proprietà), è costretto a vendere l'immobile prima di sperare di ottenere un sussidio, anche in età avanzata. C'è da chiedersi se è questo il modello di welfare che l'Italia intende perseguire. La caccia ai furbi è sacrosanta, ma anche la tanto sventolata equità. E solidarietà. Ma forse si tratta solo di un'altra tassa, occulta, sull'assistenza.    

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