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Tira aria di patrimoniale:attenzione al portafoglio

Mario Monti

Andrea Tempestini
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di Ugo Bertone   Allacciate le cinture. Anzi, indossate l'elmetto. O, meglio ancora, la tuta da sub per affrontare la tempesta che si avvicina su Piazza Affari, già salvata dal gong di giovedì santo, a un passo dal ko. Sono in molti a temere che la diga della Bce a protezione della finanza di casa nostra oggi possa  mostrare nuove, inquietanti crepe. Né saranno i dieci saggi spuntati dall'uovo pasquale del Quirinale a far da scudo alla pressione della speculazione, che torna ad annusare aria di facili guadagni. Ma c'è chi non crede allo tsunami: la frana dell'Italia, fase suprema del fallimento dell'area euro, è un piatto da gustare a poco a poco, senza danneggiare troppo gli umori di Wall Street dove le cose vanno a gonfie vele.  Lasciate che la Bce si sprema a finanziare le banche italiane perché  si riempiano di Btp, puntellando i prezzi dei titoli di Stato italiani. Poi, anzi più prima che poi, ci penserà Moody's o Standard & Poor's a dare il colpo di grazia all'Italia, Paese dalla politica  stolta      che sforna «saggi» dieci alla volta. Dopo la prossima bocciatura, infatti, peggioreranno le condizioni per le banche italiane allo sportello di Francoforte. E Mario Draghi, a differenza della scorsa estate, non potrà fare granché: a meno di sei mesi dalle elezioni tedesche, Angela Merkel  non correrà di sicuro il rischio di perder voti per consentire all'Italia di viaggiare sulla barca europea che fa rotta sempre più verso Nord.  La novità, insomma,  è che la crisi europea da finanziaria è ormai politica. E il prezzo che viene chiesto all'Italia non si misura più solo con le  nuove tasse necessarie per superare gli esami di Bruxelles o con gli spread drogati all'intervento della Banca Centrale Europea. La Germania, spalleggiata dai Paesi del Nord, si è ormai definitivamente convinta che l'Italia, al pari della Spagna, non è in grado di reggere il passo imposto dalla Bundesbank, a suon di   austerità fiscale. Perché questa accelerazione? Nelle ultime settimane due fenomeni concomitanti hanno creato le premesse per un salto di qualità della crisi. Da una parte l'Unione Europea ha chiarito, con il trattamento inflitto a Cipro, che d'ora in poi i salvataggi saranno a carico degli Stati da salvare. Meglio se «ricchi», come la Bundesbank considera il Bel Paese. Dall'altra, la deriva della vita politica italiana rende sempre più difficile, se non impossibile, individuare, come piace alla Merkel,  una soluzione provvisoria in attesa di una nuova tappa della crisi. Di fronte alla situazione che si è creata con lo stallo politico romano, invece, le cose rischiano di precipitare. In quale direzione?  Ormai la Germania è consapevole che l'austerità non porta da nessuna parte. Ma non si fida.  E non ha alcuna intenzione di condividere eventuali aperture con altri leader europei in assenza di gesti forti. Di fronte ad un governo di centro sinistra,  non si sarebbe dato nulla di più di   quel che è stato finora concesso alla Francia di François Hollande: assolutamente niente, perché Parigi oggi  non ha assolutamente nulla da offrire alla Germania, grande potenza commerciale ed economica che non sente più la necessità di farsi rappresentare da una grandeur che non c'è più.  Hollande, che presenta in questi giorni conti pubblici peggiori dei nostri, non si lamenti troppo. Grazie agli acquisti di titoli di Stato dalla Germania, Parigi può permettersi tassi assai più bassi di quelli italiani. Ma non tiri troppo la corda: la Germania, prima meta di viaggio dei leader del Nord Africa che snobbano Parigi, avviata ad avere con Pechino e Mosca rapporti commerciali più ricchi di quelli con la Francia, non ha più bisogno di corteggiare l'inquilino dell'Eliseo. O tantomeno un Bersani a  Palazzo Chigi,  senz'altro meno gradito del prediletto Herr Mario Monti. Da quel punto di vista, la nomina dei dieci saggi «scelti con criteri oggettivi» (cosa non t'inventano gli italiani...) , può essere considerata, con riserva, una buona notizia dal fronte tedesco. La sorpresa di Pasqua è che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha  fatto sapere che il governo Monti è vivo, vegeto e sta «per adottare provvedimenti urgenti per l'economia e con l'essenziale contributo del nuovo Parlamento». Di quali provvedimenti si possa trattare, francamente, solo in pochi l'hanno capito. Ma a Berlino non dispiace di sicuro che a garanzia di questi interventi ci sia Mario Monti mentre tra i dieci saggi figura Enzo Moavero, che di sicuro conosce per bene le intenzioni e le richieste della Germania. O uomini come Enrico Giovannini, presidente dell'Istat con un incarico all'Ocse, e Salvatore Rossi di Banca d'Italia che di certo non si presteranno ad incarichi di facciata o a gestire una finanziaria qualsiasi. Sta a vedere, sperano in quel di Berlino, che finalmente a Roma si discute di cose serie. Cioè come chiedere agli italiani quel che nessun governo vuol chiedere: un bel taglio alla ricchezza delle famiglie, che si tratti di case, conti correnti o Btp non c'interessa.  Fantasie? A legger gli studi della Bundesbank o le interviste del presidente dell'Eurogruppo benedetto da Berlino non si direbbe. E poi, altro non si tratta che di tradurre in pratica le cose suggerite da Giuliano Amato o dallo stesso Mario Monti, mascherate da un po' di commissioni, saggi od altre alchimie necessarie per non passare dalla strada maestra della democrazia. Del resto, in meno di due settimane a Cipro sono caduti due «tabù»: l'inviolabilità dei conti correnti e la libera circolazione dei capitali nell'area euro. A questo punto,  che ci vuole a pensare ad una bella patrimoniale, che rompa tabù e salvadanai?    

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