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Banca Carige, il colosso si aggrappa ai nostri conti correnti per evitare il disastro

Gino Coala
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Carige si appresta a lanciare una nuova operazione di rafforzamento patrimoniale da 400 milioni. È il primo salvataggio dell' era giallo-verde (sarà anche l' ultimo?). Il salvagente sarà finanziato per 320 milioni dalle banche italiane che sottoscriveranno un bond di pari valore emesso dall' istituto genovese Allo scopo utilizzeranno la riserva volontaria costituita nell' ambito del Fondo interbancario di garanzia. Leggi anche: Banca Carige, la voragine nel bilancio: perché l'Italia rischia il crac La risposta non stata unanime. Fra gli istituti di taglia medio-grande Credito Emiliano e Banco di Desio si sono chiamati fuori. Il grosso della spesa ricadrà su Intesa, Unicredit, Bpm e Ubi. C' è anche Mps con una manovra che a questo punto diventa surreale. Il gruppo senese che fatica a uscire dal coma , chiamato ad un intervento di pronto soccorso. Facile immaginare che prima o poi i banchieri chiamati a intervenire ribalteranno i costi sui correntisti. Pochi centesimi a testa, per carità. Tuttavia la conferma che, a differenza di quanto sostenuto in campagna elettorale dalla maggioranza giallo-verde, a pagare, alla fine, sono sempre i cittadini. «Mai più interventi a carico degli italiani per salvare le banche», diceva con risolutezza Di Maio nelle dirette Facebook. Un' altra delle sue promesse finite nel vento. PARACADUTE Certo la spesa del fondo interbancario potrebbe essere più contenuto se gli attuali azionisti di Carige, intervenissero per 200 milioni secondo uno schema di cui a Genova si discute da tempo. Ieri, però, l' azionista di riferimento, Vittorio Malacalza ha fatto sapere che starà alla finestra. Fra i soci principali solo il finanziere Raffaele Mincione titolare di una quota di poco superiore al 5%, è pronto a intervenire con venti milioni. Entro la primavera la banca dovrà varare un aumento di capitale da 400 milioni con cui rimborsare il bond e poi cercare il partner con cui convolare a nozze. Questo almeno è il programma annunciato ieri. Che poi venga rispettato è tutto da dimostrare. Negli ultimi anni abbiamo visto tante volte solenni dichiarazioni finire in cenere. Dal Fondo Atlante che doveva salvare le popolari venete fino al progetto di Jp Morgan per tirare fuori dai guai Mps. Tutto inutilmente costoso. Con Banca Carige potrebbe andare alla stessa maniera. E forse peggio visto che il rischio del "default" è dietro l' angolo. I 400 milioni dell' aumento di capitale di primavera sono più del doppio del valore di Borsa. I soci appena lo scorso anno hanno dovuto finanziare un aumento di capitale da 500 milioni per più della metà finito in cenere. Che fra sei mesi mettano di nuovo mani al portafoglio appare francamente poco probabile. Tanto più adesso che Vittorio Malacalza si è chiamato fuori. Nell' annunciarlo ha specificato che «non si tratta di un disimpegno». Lecito però non crederci. Tanto più che ieri è stato approvato un bilancio di nove mesi che fa un po' paura. Un rosso da 188,9 milioni di euro su cui grava la contabilizzazione di perdite e rettifiche per 256,5 milioni giunta in seguito a una verifica sul portafoglio crediti. Un buco ancora più grande di quan to temuto. IL RITIRO DI MALACALZA Dinanzi a risultati così preoccupanti Vittorio Malacalza si è ritirato. Ha già buttato nella fornace di Genova più di trecento milioni fra acquisto delle azioni e aumento di capitale. Il suo ritiro mette in difficoltà il presidente Pietro Modiano e l' amministratore delegato Fabio Innocenzi. Entrambi facevano parte della lista che proprio Malacalza aveva portato in assemblea sbaragliando quella di Mincione e dei suoi alleati (primo fra tutti il finanziere Giuseppe Volpi). A meno di due mesi da quel successo ha praticamente smentito il piano messo a punto dal nuovo consiglio d' amministrazione. La situazione crea non pochi imbarazzi alla Banca d' Italia. Dovrà essere trovato un partner forte per tirare fuori dai guai la banca genovese. Una ricerca non facile: chi avrà voglia di caricarsi il peso di un disastro dalle dimensioni ancora incerte? A complicare la situazione c' è la perdurante difficoltà di Montepaschi. Entro giugno il governo dovrà presentare un piano di privatizzazione da completare entro il 20121. Anche in questo caso occorre trovare un compagno dalla spalle robuste. I nomi che girano son o sempre gli stessi a cominciare da Ubi. Impossibile, però, che a Bergamo abbiano cerotti per tutti gli ospedali di Nino Sunseri

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