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Mario Draghi, il cupo sospetto dietro il suo unico fallimento: "Perché ora salverà solo se stesso"

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Gino Coala
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Quando poi si dice Draghi: «Come trasformare un fallimento in un successo», potrebbe essere questo il titolo di un bel romanzo sulla Banca centrale europea degli ultimi anni. Ha mancato sistematicamente l' unico obiettivo previsto dal suo statuto, quello di un' inflazione stabile intorno al 2%, ma è considerata l' organismo più importante d' Europa. Con poteri perfino salvifici nei confronti dei singoli Paesi, che invece da essa sono, e devono rimanere, indipendenti. Leggi anche: Draghi: "L'andamento dell'economia è più debole del previsto" È così che ogni decisione di Mario Draghi a Francoforte viene accolta come un miracolo da tutti, mercati compresi, mentre in realtà nasconde un grande disagio all' interno della Bce. Altro che 2%: stando alle ultime rilevazioni, a gennaio 2019 l' inflazione nell' Eurozona era all' 1,4% e in passato è stata anche più bassa, fino a zero. È per questo motivo che il presidente della Banca centrale europea, che altrimenti giunge alla scadenza del suo mandato il prossimo ottobre con un obiettivo non raggiunto, negli anni ha messo mano all' artiglieria pesante, i cosiddetti strumenti «non convenzionali» di politica monetaria. NON CONVENZIONALE Dal famigerato Quantitative easing, noto perché considerato l' àncora di salvezza delle finanze pubbliche italiane durante il governo Renzi, ai generosi prestiti alle banche del 2011 e 2012 e pronti per essere rinnovati dal prossimo settembre, partiti per finanziare l' economia reale, cioè imprese e famiglie, ma in realtà utilizzati per comprare titoli del debito pubblico emessi dagli Stati. Lo scopo non era, e non è, quello di aiutare i conti pubblici italiani, cosa che è tra l' altro vietata in virtù del principio di indipendenza delle banche centrali di tutto il mondo rispetto ai governi delle aree di riferimento, ma far risalire l' inflazione nell' Eurozona, aumentando la liquidità in circolo. Quello sulle finanze pubbliche è solo un effetto indiretto, poiché quando la politica monetaria si trasmette senza intoppi all' economia reale, allora maggiore liquidità significa più consumi, più investimenti, aumento della produzione, quindi nuovi posti di lavoro, crescita e sviluppo. Di fatto la politica monetaria, che è in mano alle banche centrali, quindi ad organismi non eletti, si sostituisce alla politica economica che invece è competenza dei governi. E questo succede quando i governi sono deboli. Da qui l' equivoco del «Ci salva la Bce», che invece persegue solo il suo obiettivo di stabilità dei prezzi. E che, se i governi facessero fino in fondo il proprio dovere, non sarebbe continuamente ed erroneamente tirata in ballo. ECONOMIA REALE Se non vogliamo seguitare a dipendere da organismi sovranazionali, dunque, ma diventare davvero un popolo sovrano, la via è una sola: lo stimolo dell' economia reale attraverso una strategia lungimirante di politica economica, partendo magari dalla riduzione delle tasse, così da creare valore attraverso il normale funzionamento dell' apparato produttivo e non crescita "drogata" dalle iniezioni di liquidità della Banca centrale europea. È il compito del governo Conte con il ministro Tria: a ognuno la sua parte. Piuttosto che esultare, quando Mario Draghi interviene, come da ultimo ha annunciato giovedì scorso, dovremmo chiederci che cosa stiamo sbagliando. Il primo campanello d' allarme è proprio quello. Come la febbre. Se l' inflazione è troppo bassa c' è qualcosa che non va, per lui e per noi. di Paola Tommasi

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