Cerca
Logo
Cerca
+

Via della Seta, un porto sicuro: perché l'Italia con la Cina farà affari d'oro

Davide Locano
  • a
  • a
  • a

Se sei in tempesta, non puoi permetterti di scegliere il porto, recita un vecchio adagio genovese. E' per questo che l' Italia in tempesta recessiva e in attesa dell' arrivo di Xi Jinping difficilmente riesce a scegliere il destino dei suoi porti, mentre la Cina, su quegli stessi porti ha già puntato le sue fiches. Lo schema è questo: noi dovremmo firmare il Memorandum of understanding, l' intesa commerciale con i cinesi e loro ci agganciano alla Belt and Road Initiative, la cosiddetta Via della Seta attraverso i nostri porti, che diventano quindi le loro porte ad Occidente. I siti sono quelli di Trieste, il vero porto franco del mediterraneo e baricentro dell' operazione, che il sottosegretario leghista Geraci vorrebbe direttamente "vendere" a Shangai; il porto di Genova (con Vado Ligure) che registra già il 30% degli scambi cinesi. E il porto di Palermo con un «progetto con 16 milioni di container movimentati all' anno due in più di Rotterdam e un' occupazione tra diretto e indotto quantificata in 435mila persone», dicono all' Eurispes, il centro fondato da Gian Maria Fara che avrebbe condotto una trattativa avanzata per un' operazione da 5 miliardi di euro, da condurre in project financing. IL PONTE SULLO STRETTO Tra l' altro, Shangai ha l' ossessione di Palermo. Già nel 2011 s' era proposta di finanziare la costruzione del Ponte sullo stretto di Messina; ma in cambio aveva chiesto la gestione proprio della portualità palermitana e allora fu il governo Monti che ne cancellò ogni ambizione. Ma tant' è, nonostante i loro i bassi fondali e il flusso delle grandi navi che, specie nell' Adriatico devono slalomare pericolosamente tra piattaforme petrolifere e "teste di pozzo" per l' estrazione del gas, i porti italiani sono in questo momento in cima ai pensieri della politica. Non per nulla ora rispunta il famoso Piano strategico nazionale della portualità, il dossier sulle virtù planetarie della logistica che l' attuale sottosegretario alle Infrastrutture Armando Siri, Lega, aveva preparato, mesi fa, nel caso il tema si scaldasse. E il tema, oggi, s' è arroventato. L' economia del mare in Italia pesa 32 miliardi e, secondo il Censis, occupa il 2% della forza lavoro del Paese. Il business totale nel Mediterraneo è di circa 700 miliardi. L' interesse, diciamo, è legittimo. «E' un problema di visione a lungo termine. Tra 15/20 anni l' Africa avrà un' esplosione demografica incredibile. Nel 2100 è stimato che avrà più abitanti dei Cina e India messe insieme. I cinesi lo sanno», afferma l' ingegnere Giovanni Mollica, il tecnico ispiratore di gran parte del suddetto dossier «ed è lungimirante pensare allo sfruttamento massiccio dei porti di paesi che stanno a soli 140 chilometri dal continente, come i nostri o quelli greci. E' per questo che la Cina si è comprata il Pireo che è passato da un passaggio di 500mila a 6 milioni di container». E se da sud la Cina avanza inarrestabile dopo aver già colonizzato intere regioni africane, a nord gli scambi commerciali continuano sempre più a passare sopra le Alpi. «Lo scioglimento dei ghiacci polari prevederà il passaggio dall' Artico, con riduzione di 3000 miglia del flusso delle navi», continua Mollica. Urgono dunque anche "corridoi" come quello della Tav, la presunta emanazione ad ovest della Via della Seta (ed è bizzarro che il M5S invochi la Via della Seta ma sfanculi la Tav). Per questo l' Ue - soprattutto Germania, Francia, Olanda, Belgio più la Svizzera - ci sta massacrando: ha tutto l' interesse ad evitare lo sviluppo di altre rotte oltre le proprie. Per questo è stato bocciato il piano di collegamento tra il Pireo e Budapest (per violazione delle norme comunitarie da parte dei cinesi che sul rispetto delle leggi ci vanno di mannaia). E per questo l' Italia si trova stritolata, vaso di coccio fra vasi di ferro, fra due opposte visioni e centri di potere. I cinesi senza scrupoli e i furbissimi nordeuropei; entrambi sanno che la sfida della manifattura mondiale si basa su materiali, manodopera e soprattutto logistica. COMPETIZIONE «Non si possono mettere in competizione i porti italiani con quelli del Northern Range, la fascia di Rotterdam, Amburgo, Anversa e Brema. Solo Rotterdam ha 14 milioni di container di più di tutti i porti italiani messi insieme. Perciò invece di vendere Trieste, bisognerebbe valorizzare la portualità distribuita di tutto il sistema dei porti italiani, specie quelli del sud che oggi sono parassitari», aggiunge Mollica. La strada è ben chiara a Siri: «Le infrastrutture al Sud sono sempre state fuori dall' agenda leghista. Ma l' Italia non può ignorare la fortuna che ha di collocarsi in una zona geografica strategica, naturale cerniera di collegamento tra il Sud e l' Est del mondo e l' Europa centrale, tra Suez e il Nord Europa. Occorre creare sinergie coinvolgendo in un progetto di sviluppo della logistica i principali scali portuali». Oddio, il suo "piano cantieri" originale era di 22 miliardi. Vista la recessione si può limare qualcosina. Siri vorrebbe davvero «saturare Genova e Trieste e rendere insieme competitivi i porti del sud, cosa che hanno precluso i governi di sinistra». Si parla Augusta, Cagliari, Taranto, Gioia Tauro che una volta cubava 4 milioni di container ora è morto e i contributi dello Stato servono solo a mantenerne i cassintegrati; gli accordi, grazie allo statuto speciale regionale possono essere fatti direttamente dal governatore, salvo in caso di interesse nazionale. Ma lì sta il buco. Non è un caso che la Sicilia fino al 1960 contribuiva per 1/8 del bilancio nazionale e oggi e per 1/19: lì non arriva neanche l' ombra di un container, e le autostrade sono deserte. E, per dirla tutta, non vedrei neanche tutta 'sta fretta nello spendere altri 11 miliardi per l' alta velocità Messina-Catania Ma la vera necessità sta nella trasformazione dei nostri porti transhipment - di passaggio, con scambi mare/mare - in porti getaway, di vera gestione delle merci e tariffe doganali, con guadagni triplicati e la vera concorrenza alla Germania. Siri lo chiama il "paradosso geografico": in questo momento la piattaforma logistica mediterranea sta tra Amsterdam e Berlino. Un paradosso alimentato dalla Legge Delrio del 2015, «che ha bloccato i 2/3 dei porti italiani a favore di quelli nordeuropei, soprattutto tedeschi. Nei porti getaway, le navi escono dall' ambito portuale e l' incasso è di dieci volte superiore», sospira Mollica. In tutto questo arriva la gelata di Matteo Salvini sulla Via della Seta e contro i sinologi del suo stesso partito: «Non avrei nessun problema se fossimo di fronte a un investitore americano per il porto di Trieste o di Genova, ma la Cina è altra cosa: non penso che ci sia una competizione ad armi pari». Preparate i pop corn. La Cina non è mai stata così vicina di Francesco Specchia

Dai blog