Hanno ucciso il ceto medioLe tasse di Monti il colpevole

Il governo studia la "rivoluzione del Welfare": pagheremo anche la sanità pubblica
di Andrea Tempestinidomenica 27 maggio 2012
Hanno ucciso il ceto medioLe tasse di Monti il colpevole
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La cura Monti? Risanare il bilancio pubblico italiano aumentando la pressione fiscale: è ormai una certezza che nessuno potrebbe negare. E il peso di questi sacrifici si basa soprattutto sui contribuenti onesti. E il trend sembra destinato a continuare: il governo delle tasse non si smentisce. Welfare - Il primo nodo è relativo al Welfare: il governo vuole rivoluzionare la spesa socio assistenziale. L'obiettivo è ottenere risparmi riducendo le prestazioni ha chi ha redditi maggiori: la bozza del decreto ministeriale prevede infatti la revisione della base di calcolo dell'Isee (l'indicatore della situazione economica familiare), un paniere composta da redditi, rendite e proprietà e che oggi serve per attribuire il diritto alla prestazione gratuita di una serie di serivizi pubblici. Prestazioni sanitarie - Ma la proposta del governo ha una parte decisamente controversa, ed è quella che tende ad assicurare la gratuità di alcune prestazioni attualmente garantite a tutti - come gli assegni di accompagnamento agli invalidi - solo a chi ha un reddito inferiore a 15mila euro, introducendo contributi crescenti oltre a quella soglia. Inoltre l'idea allo studio è quella di una riforma del sistema sanitario che miri a far pagare a tutti (esclusa una piccola fascia di redditi bassi) una percentuale dei propri guadagni attuali per godere dell'assistenza medica. La seconda ipotesi prevede l'introduzione di un tariffario delle prestazioni mediche differenziato a seconda del reddito. L'assurdità di questa proposta sta nel fatto che non solo ai benestanti, ma anche alle classi medie e mediobasse - basti pensare che a partire da 28mila euro di imponibile già si subisce la aliquota Irpef monstre al 38% - dovranno di fatto pagare due volte i servizi per i quali pagano le imposte.  Doppio pagamento - Il principio degli ammontari decrescenti vale anche per le detrazioni per il lavoro dipendente: sono godibili partendo da 1.338 euro fino a scomparire del tutto per i redditi superiori a 55mila euro. Eppure soltanto il 19% di quanto si è speso è detraibile dalle imposte pagate dal contribuente. Se l'intero costo fosse detraibile dall'imponibile, un soggetto con 30mila euro di reddito potrebbe risparmiare il 38%, un ammontare pari alla sua aliquota marginale. Non si capisce perché il principio della progressività non valga per le detrazioni fiscali. Il paradosso è che chi percepisce un salario lordo medio-basso, intorno ai 30-35mila euro l'anno, non soltanto contribuisce di più al sostentamento dei servizi pubblici (con il 38-39% della sua aliquota), ma si trova a pagarli due volte.  Tutte balle - Tutto ciò avviene mentre il governo continua a sbandierare la volontà di diminuire le tasse sui redditi da lavoro e quelli di impresa per spostarle sui consumi: in veirtà l'andazzo è totalmente opposto. La sostanza è che nella tempesta di tasse che sta affogando l'Italia, quelle più ingiuste colpiscono quel ceto medio che già paga più degli altri.