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Battaglia di civiltà: contrastare  lo spreco alimentare. L'analisi di Andrea Pasini

Andrea Pasini
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In questo periodo di Feste, tra cenoni e pranzi con amici e in famiglia è importante parlare di un tema troppo spesso ignorato, quello dello spreco alimentare. Mentre la sostenibilità è al centro del dibattito pubblico, lascia l’amaro in bocca leggere i risultati del report firmato McKinsey. 

Secondo lo studio, il cibo perduto o sprecato in un anno raggiunge i 620 miliardi di euro, tra il 33% e il 40% di quanto viene complessivamente prodotto. Circa la metà di questi sprechi, afferma il rapporto, avviene a monte della filiera: durante la raccolta, in fase di movimentazione e stoccaggio post-raccolta, o in fase di lavorazione. Anche gli effetti secondari legati allo spreco e perdita di cibo sono allarmanti: il consumo di acqua connesso a questo fenomeno è pari a circa un quarto delle riserve mondiali di acqua dolce, mentre le relative emissioni di gas serra costituiscono l’8% del totale globale, quasi quattro volte quelle del settore aereo. Tra i prodotti più sprecati spiccano ortofrutta e cereali, responsabili di gran parte delle perdite, mentre la carne non va oltre il 3% totale e i prodotti lattiero-caseari si attestano pochi decimali più in alto.

La riduzione dello spreco alimentare dovrebbe essere una priorità non solo ambientale, ma anche sociale. Mentre tutto questo cibo viene buttato, 3,1 miliardi di persone al mondo vivono in stato di insicurezza alimentare e 828 milioni soffrono la fame. Questo mentre le proiezioni demografiche indicano la necessità di aumentare la produzione agricola per sfamare una popolazione mondiale in crescita.

Ma lo spreco alimentare è anche sinonimo di una forte inefficienza economica, con costi nascosti spesso pari o superiori ai profitti netti dei rivenditori, anche di quelli più performanti. 

Produttori e rivenditori di generi alimentari possono però svolgere un ruolo cruciale: forti del loro posizionamento al centro della filiera, potrebbero promuovere un processo di collaborazione per riutilizzare alimenti che altrimenti andrebbero sprecati, destinandoli all’alimentazione o a utilizzi alternativi, come le biomasse o i mangimi per alimentari. A fronte di un impegno diffuso da parte degli operatori, sottolinea il report, si potrebbero abbattere le emissioni di CO2 fino a sfiorare il 10%. Le azioni più efficaci per ridurre lo spreco, si legge ancora nello studio, richiedono la collaborazione tra produttori, retailer e fornitori attraverso una pianificazione a lungo termine. Un approccio necessario per evitare impegni spot, e pertanto non strutturali. Le best practice vedono anche l'utilizzo delle tecnologie digitali, come la blockchain, per garantire la tracciabilità lungo tutto il ciclo produttivo.
 

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