Cerca
Logo
Cerca
+

Meloni straccia Germania e Francia: Fmi, gli ultimi dati

Esplora:

Sandro Iacometti
  • a
  • a
  • a

 L’Italia frena. Anzi no. Quel -0,1% piazzato dall’Istat davanti all’andamento del Pil nell’ultimo trimestre dell’anno (rispetto al terzo) può trarre in inganno. Certo, sempre di retromarcia, seppur minima e inferiore alle previsioni, si tratta. Che tra l’altro interrompe una serie positiva durata quasi due anni. C’è poi da dire che i principali indicatori non preannunciano per i primi mesi dell’anno uno sprint in grado di farci subito recuperare il terreno perso.

Epperò, allargando lo sguardo si scopre che le cose vanno assai meglio non solo di come Mario Draghi aveva previsto nella prima Nota di aggiornamento al Def di settembre (Pil al 3,3% nel 2023) ma anche di come l’attuale governo ha previsto in quella rivista e integrata di novembre (Pil al 3,7%). Lo scorso anno, infatti, la crescita complessiva si è attestata al 3,9%, un dato che ci piazza sopra la media europea (3,6%) e soprattutto davanti alle locomotive del Continente, con la Francia che si è fermata al 2,6% e la Germania all’1,8%. Persino gli Stati Uniti e la Cina non sono andati oltre, rispettivamente, il 2,1 e il 3%. Magra consolazione, direte voi, se nel 2023 ci aspetta una bella recessione.

 

 

 

LA SPINTA SUL 2023

In realtà, la spinta maggiore del previsto nel 2022 fa ben sperare anche per l’anno in corso. Intanto c’è il dato dell’Istat, che considera la crescita acquisita per il 2023 dello 0,4%. Come dire che l’anno incomincia già con un po’ di benzina nel serbatoio. E a credere che questo carburante ci permetterà di rimetterci in marcia c’è il Fondo monetario internazionale, che la scorsa notte ha aggiornato, in meglio, gran parte delle sue previsioni, comprese quelle sull’Italia. Nel nuovo World Economic Outlook, dove la crescita del 2022 è già fissata al 3,9%, il Pil per quest’anno viene portato da un preoccupante -0,2% ad un ben più ottimistico +0,6%. Un balzo dello 0,8 che allinea le stime a quelle fatte dal governo nello scenario programmatico della Nadef.

Intendiamoci, bisogna fare i conti con l’andamento dei prezzi dell’energia (ora in forte discesa), con l’evoluzione del conflitto in Ucraina e, soprattutto, con le mosse della Bce, che malgrado le prospettive di un’inflazione calante sembra intenzionata domani, quando i tassi aumenteranno ancora dello 0,5%, a promettere ancora fuoco e fiamme per i prossimi mesi. Annunci che non aiuteranno le imprese a programmare investimenti né i consumatori a programmare spese.

Su quest’ultimo fronte, poi, c’è anche da registrare un consistente calo del potere d’acquisto provocato da una dinamica salariale che ovviamente non riesce (e per gli esperti di politica monetaria è anche un bene) a stare dietro ai prezzi. La forbice si è ampliata in modo evidente nel 2022, toccando il 7,6%. Un valore mai raggiunto prima, o almeno dal 2001, primo anno di diffusione dell'indicatore dei prezzi armonizzato a livello europeo.

Lo scorso anno, secondo i dati diffusi ieri dall’Istat, la stagione contrattuale ha portato al recepimento di 33 contratti collettivi: la crescita delle retribuzioni c'è stata, ma nella media dell'anno, è stata pari a +1,1%. La variazione media dei prezzi è stata invece dell'8,7%. I segnali positivi sulla tenuta dell’economia, tuttavia, non mancano. A partire da quelli, non proprio trascurabili, relativi al mondo del lavoro. Gli occupati a dicembre sono infatti cresciuti di 37mila unità su novembre e di 334mila unità su dicembre 2021, per quanto in stragrande maggioranza uomini (il 90%).

 

 

 

AUMENTA IL LAVORO

Il tasso di disoccupazione, cioè il numero di persone che cercano un lavoro sul totale della popolazione attiva, è rimasto invariato al 7,8% sugli stessi livelli di novembre e in calo di un punto percentuale rispetto a dicembre 2021. Il tasso di disoccupazione giovanile è invece sceso al 22,1%, così come è diminuito il numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni, con il tasso di inattività generale al 34,3%. Ma il dato più rilevante riguarda la costante crescita del tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni, che con il 60,5 per cento raggiunge il livello più alto dal 2004, data di inizio delle serie storiche. Gli occupati complessivi nel mese sono 23.215.000, in questo caso il livello più alto dopo giugno 2019. Una raffica di buone notizie che rende anche un po’ obsolete le continue polemiche dei sindacati sull’Italia diventata il regno del disagio sociale e del precariato. L’Istat spiega infatti che l’aumento dell’occupazione rispetto al dicembre 2021 è dovuto principalmente alla dei dipendenti permanenti e degli autonomi, a fronte di un numero di contratti a termine che risulta inferiore di 30mila unità. Insomma, non si tratta di posti finti, bensì di posti fissi. Proprio quelli che piacciono alle sigle.

 

 

 

Dai blog