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Economia italiana più forte dei gufi: l'agenzia Dbrs promuove il governo

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Sandro Iacometti
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L’Italia come un guscio di noce nel mare in tempesta? Niente da fare. Le profezie dei gufi continuano a restare disattese. Non solo l’arrivo a Palazzo Chigi del governo di centrodestra non ha sconvolto le cancellerie internazionali né messo in allarme i mercati finanziari, ma sembra anche che l’idea di un governo finalmente eletto e stabile dopo un decennio di incessanti cambi della guardia abbia messo benzina nel motore dell’economia. Si spiegano in parte così, oltre che ad una congiuntura evidentemente favorevole, gli incrementi dell’occupazione, arrivata a livelli record, è la crescita del Pil sopra le attese e, soprattutto, sopra quelle delle principali locomotive della Ue.

CAMBIO DI GIUDIZIO
Risultati che iniziano ad essere notati anche dalle solitamente spigolose agenzie di rating, che per ora non riescono a trovare motivi validi per puntare i fucili contro l’Italia. Anzi. Dopo la conferma del giudizio sul nostro debito da parte di S&P e di Fitch, che ha pure alzato le stime di crescita del Pil per l’anno in corso all’1,2% (allineandosi a quelle arrivato solo qualche giorno dopo dalla Commissione europea), e la sospensione del giudizio da parte di Moody’s, che sembrava intenzionata a portare i nostri Btp ad un passo dalla spazzatura (junk bond), anche dal poco amico Canada (è solo di qualche giorno fa l’affondo del premier Justin Trudeau sulla presunta retromarcia del governo sui diritti civili) arriva un’altra sostanziale promozione.

Negli ultimi anni, spiegano gli analisti di Dbrs Morningstar, «l'Italia ha affrontato vari shock», come la pandemia, la crisi energetica e i colli di bottiglia dell'offerta, in un contesto di «incertezza politica e tre diversi governi». Tuttavia, «nessuno di questi si è finora tradotto in un danno economico significativo, contribuendo alla stabilità del rating dell'Italia a «BBB (high)». Nel report dell'agenzia di rating si sottolinea che «la ripresa dell'Italia dopo la pandemia è stata migliore del previsto e la crescita è stata più forte di quella dei suoi omologhi». Fin qui, il passato. Ma anche per il futuro le prospettive non sono affatto male. Anche perché «nel primo trimestre del 2023 il Pil reale è stato superiore del 2,4% rispetto al periodo pre-covid, un punto percentuale oltre quello della Francia, mentre i livelli del Pil di Germania e Spagna rimangono vicini o leggermente al di sotto del livello del quarto trimestre 2019».

CRESCITA POTENZIALE
Risultato: secondo Dbrs «la crescita del Pil potenziale sembra essere in miglioramento e il rapporto debito pubblico/Pil dovrebbe continuare a diminuire nei prossimi anni, anche se a un ritmo più moderato rispetto agli ultimi due anni». La sintesi è che ci sarà «un passaggio a un livello di crescita economica più elevato rispetto al periodo pre-pandemia, insieme a un graduale miglioramento del bilancio pubblico che contribuirà a una futura diminuzione del debito/Pil». A far sparire le nubi all’orizzonte ci sono anche i «futuri progressi nelle riforme strutturali, tra cui quelle del settore pubblico, della giustizia e della concorrenza», che «saranno positivi per la crescita». E il «deciso progresso nel risanamento dei conti pubblici», che compenserà l’aumento del costo degli interessi dovuto all’azione della Bce. Che è il primo bastone tra le ruote con cui il Paese dovrà fare i conti. L’altro, guarda un po’, è il superbonus, stoppato dal governo in zona Cesarini. Le «minori entrate fiscali in termini di cassa, dovute agli incentivi fiscali per l'edilizia», dovrebbero infatti «esercitare una moderata pressione al rialzo sul debito/Pil nei prossimi anni».

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