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Fitch boccia tutti e salva solo l'Italia: la mossa decisiva del governo

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 Tra pandemia e crisi energetica, le economie dei Paesi sviluppati correranno di meno in futuro. Con due eccezioni: la Francia e l’Italia. A calcolare il tasso di crescita potenziale, ovvero il livello massimo raggiungibile senza innescare una spirale inflazionistica, è l’agenzia di Rating Fitch, che nel suo ultimo Global Economic Outlook ha tagliato le proiezioni per dieci Paesi, mentre ha rivisto al rialzo dello 0,1% quelle per Parigi e Roma. Rispetto all’ultimo rapporto diffuso a fine aprile, Fitch ha ridotto dello 0,2% le sue stime sul Pil del Regno Unito, della Germania e del Giappone, portandole, rispettivamente, all’1,2%, all’1,1% e allo 0,5%. Sono state abbassate anche le previsioni per gli Stati Uniti: l’economia americana dovrebbe espandersi nel medio periodo dell’1,7% annuo, invece che dell’1,8%. Fitch stima una crescita dello 0,7% (era 0,6% in precedenza) per l’Italia (grazie al dinamismo degli investimenti) e dell’1,2% per la Francia (1,1%). Rimangono invariate le valutazioni relative ad Australia, Canada, Svizzera e Spagna.

 

 

 

IMPATTO NEGATIVO

«I grandi shock economici negativi degli ultimi anni» dalla pandemia alla crisi del gas in Europa, «avranno un impatto negativo duraturo sul potenziale produttivo dal lato dell’offerta» si legge in una nota diffusa dall’agenzia di rating. «Il Pil nelle economie maggiormente sviluppate» ha affermato il capo-economista di Fitch, Brian Coulton, «non tornerà ai livelli pre-Covid nemmeno nel medio termine». Insomma, l’eredità dellle recenti crisi si farà sentire anche nei prossimi anni. Tant’è che l’agenzia di rating prevede che nel 2027 il Pil di Spagna, Regno Unito, Italia e Germania sarà più basso del 2% rispetto a quanto stimato prima della pandemia. Sempre sul fronte della crescita, l’Eurostat ha calcolato per il secondo trimestre un aumento del Pil dell’Eurozona dello 0,3% sui primi tre mesi dell’anno e dello 0,6% sul 2022. Per l’Italia, invece, si registra una contrazione dello 0,3% sul primo trimestre e un incremento dello 0,6% annuo.

Intanto ieri Bankitalia ha pubblicato le consuete statistiche mensili sulla finanza pubblica, con il debito che a giugno ha toccato un nuovo record: 2.843 miliardi, in aumento di 27,8 miliardi su maggio. Oltre al fabbisogno delle amministrazioni (12,3 miliardi) e alcune voci minori (1,3 miliardi), l’incremento riflette in particolare l’emissione di titoli realizzata dal Tesoro per rimpolpare i suoi depositi presso Palazzo Koch: le disponibilità liquide sono cresciute di 14,2 miliardi, raggiungendo i 41,8 miliardi. Dai dati più aggiornati del Ministero dell’Economia, emerge che a luglio la liquidità dello Stato è aumentata ancora, attestandosi a 66,4 miliardi. Tornando alle statistiche sul debito, a giugno il rosso delle amministrazioni centrali si è gonfiato di 30,4 miliardi, mentre quello di regioni ed enti locali è diminuito di 2,6 miliardi.
Sul fronte dei settori detentori, cala la quota posseduta da Bankitalia, che a giugno è risultata in discesa al 25,4% dal 25,8% del mese precedente. Rimane invece invariata a maggio (ultimo dato disponibile) la parte nelle mani di investitori esteri (26,5%) e di famiglie e imprese residenti (10,9%).

 

 

 

IL GETTITO

Una notizia positiva per i conti pubblici viene dai numeri sulle entrate tributarie e contributive, che nei primi sei mesi di quest’anno sono aumentate di 13,5 miliardi (+ 3,6%) rispetto allo stesso periodo del 2022. «Tale andamento» ha precisato il Mef in una nota, «è in linea con quanto già indicato nel Def (Documento di economia e finanza, ndr) e incorporato nel calcolo dei tendenziali». In altre parole, il gettito risulta conforme alle previsioni fatte dal governo. Nel dettaglio, a fine giugno le entrate fiscali si sono attestate a quota 247,5 miliardi (+3,3%), mentre quelle contributive a 126,2 miliardi (+4,5%). Il gettito delle imposte dirette è stato pari a 136,9 miliardi (+3,8%), trainato dall’Irpef (105,6 miliardi, +6,1%) e dall’Ires che grava sui profitti societari (15,4 miliardi, +2,7%). Le imposte indirette, invece, hanno generato entrate per 110,6 miliardi (+2,7%). 

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