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Case green, scongiurata la eco-patrimoniale ma c'è la stangata sulle caldaie

Attilio Barbieri
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C’è l’accordo sulla direttiva Ue per le case green. L’ultimo scoglio da superare a Bruxelles nella difficile trattativa prevista dal “trilogo” - vale a dire Commissione, Parlamento e Consiglio della Ue - era la data prevista per lo stop definitivo ai riscaldamenti da fonti fossili, gas e gasolio. Il testo licenziato dalla Commissione prevedeva il 2035, ma dodici anni sono ritenuti un lasso di tempo troppo breve per adeguare tutti gli impianti esistenti. Così il Consiglio ha proposto di spostare la data del phase out al 2040. E l’intesa è arrivata proprio su questa data. Il provvedimento è uno degli ultimi “regali” ai cittadini europei della maggioranza Ursula, frutto dell’accordo scellerato in sede europea fra l’asse rosso-verde con i popolari del Ppe. Gli effetti della direttiva sono quasi del tutto sconosciuti alla maggioranza degli europei. Secondo un sondaggio svolto dalla Unipol, soltanto l’8% degli italiani è disposto a effettuare opere di efficientamento energetico per adeguarsi alla direttiva Ue sulle case green. E addirittura il 52% degli intervistati non è a conoscenza della classe energetica della propria abitazione.

 


Per avere un’idea delle cifre in gioco, secondo l’Enea, gli interventi di riqualificazione energetica ammessi a detrazione con il superbonus sono costati complessivamente circa 92 miliardi di euro e hanno riguardato appena il 3% delle abitazioni. Secondo una stima non ufficiale circolata nei mesi scorsi adeguare il patrimonio immobiliare esistente alla direttiva Ue costerebbe in media almeno 60mila euro a fabbricato. Ma si tratta di un valore medio, tagliato con l’accetta. Il valore degli interventi salirebbe nel caso di abitazioni unifamiliari e pure per fabbricati condominiali di grandi dimensioni. A livello nazionale la fattura complessiva per raggiungere gli adeguamenti previsti dalla direttiva ammonta a 1.400 miliardi. Euro più, euro meno.  L’accordo maturato ieri prevede comunque una serie di impegni stringenti. Il consumo medio di energia primaria dell’intero parco edilizio, rispetto al 2020, dovrà essere tagliato del 16% entro il 2030 e del 26% entro il 2035. Il 55% della riduzione energetica dovrà essere ottenuta attraverso la ristrutturazione degli edifici che si trovano nelle classi energetiche peggiori. 

 

 

Rispetto al testo di partenza, quello approvato ieri, comunque, supera «gli obblighi diretti peri proprietari e lascia agli Stati maggiori libertà d'azione», afferma il presidente della Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa. In pratica viene meno la «salatissima eco-patrimoniale europea promossa da verdi e sinistra», come ha spiegato l’eurodeputata della Lega Isabella Tovaglieri. Entro il 2030 tutti gli edifici di nuova costruzione dovranno essere a emissioni zero. Mentre entro il2050 l’intero patrimonio edilizio esistente dovrà essere adeguato al target di “zero emissioni”. I co-legislatori hanno concordato inoltre l’installazione di idonei impianti a energia solare nei nuovi edifici, negli edifici pubblici e in quelli esistenti non residenziali soggetti a ristrutturazione che comporti la richiesta del permesso edilizio. L’obbligo di installare pannelli solari sui tetti riguarderà solo gli edifici pubblici e non residenziali a partire rispettivamente dal 2026 e dal 2030. Dunque in attesa di capire come gli Stati declineranno gli impegni di taglio delle emissioni, l’obbligo più stringente sui proprietari resta quello di sostituire entro diciassette anni tutte le caldaie con le pompe di calore. Un impegno comunque gravoso. Ai valori attuali una pompa di calore monofamiliare costa almeno da 4mila a 6mila euro, cui si devono sommare le spese di installazione. Un impianto condominiale, invece parte da 27mila euro. 

 

 

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