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Stellantis, Parigi vuole le nozze con Reanult? Che fine farà la quota Agnelli-Elkann

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Attilio Barbieri
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Le grandi manovre di Stellantis tornano a far discutere. E far paura. A distanza di due giorni da quando il numero uno del gruppo francese Carlos Tavares ha fatto capire che nel mirino potrebbe entrare la rivale di sempre, vale a dire la Renault, al di qua delle Alpi cresce la preoccupazione per una fusione destinata a cambiare i connotati del mercato europeo delle quattro ruote ma pure a relegare l’Italia alla periferia dell’impero. A benedire l’operazione sarebbe direttamente il presidente Emmanuel Macron cui non dispiacerebbe tenere a battesimo la nascita di un gruppo tutto francese capace di competere su un mercato sempre più difficile e competitivo. Parigi, fra l’altro, vanta partecipazioni di peso in entrambi i gruppi. In Stellantis è il terzo azionista con il 6,1%, dietro alla famiglia Agnelli (14,2%) e a Peugeot (7,1%). In Renault è in testa alle partecipazioni rilevanti con il 15,1%.

La prima conseguenza delle nozze consumate in casa fra i due gruppi sarebbe proprio di veder accresciuta la presa dello Stato francese sul nuovo soggetto. Mentre la quota in mano agli Agnelli-Elkann sarebbe destinata a diluirsi in maniera significativa. Ridimensionato il peso degli eredi dell’Avvocato, Parigi avrebbe l’ulteriore vantaggio di rendere più oneroso o allontanare del tutto l’ingresso dello Stato italiano nel capitale della nuova Super Stellantis. Una prospettiva destinata però ad accrescere l’allarme per le attività italiane. Se la prospettiva di trovarsi azionisti di un colosso mondiale dell’automotive, con 16 milioni di veicoli prodotti l’anno può essere comunque allettante per gli Agnelli-Elkan, anche a fronte di una significativa riduzione del peso nell’azionariato, per le fabbriche italiane del gruppo si aprirebbe un futuro inquietante.

 

 

Potrebbe non bastare nemmeno piegarsi all’ultimatum del numero uno Tavares («o ci date gli incentivi per l’elettrico oppure tagliamo»). E «qui non si tratta di aprire conflitti o fare guerre a una multinazionale», sostiene il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra in una lunga intervista al quotidiano Il Mattino, «ma i toni che ha usato recentemente Tavares non ci sono davvero piaciuti. Sfiorano il ricatto. Il governo fa bene a pretendere dall’azienda di chiarire i suoi progetti industriali nel nostro Paese: quali investimenti sono previsti, quali le prospettive occupazionali e produttive, quanti e quali modelli vuole produrre in Italia».

Nell’intervista concessa a Bloomberg in cui ha aperto alla fusione, Tavares non ha esitato a chiarire fino a che punto possano peggiorare le prospettive per le attività italiane, nel caso di un accordo con Renault. «Se l’industria automobilistica non si muove, scomparirà sotto l’offensiva dell’industria cinese, io sto solo cercando di capire prima come far sì che la mia azienda abbia successo», ha raccontato a Bloomberg, indicando proprio le fabbriche di Mirafiori e Pomigliano come gli impianti più a rischio, visto «che il governo italiano non sovvenziona l’acquisto di veicoli elettrici». La prospettiva, nel caso prendesse forma il piano per la maxi fusione Stellantis-Renault è che sia destinata a cadere nel vuoto la legittima richiesta di un chiarimento chiesto da mesi in Italia e rilanciato per ultimo sempre da Sbarra: «Abbiamo bisogno di sapere quali saranno i modelli che sostituiranno la Panda». E c’è chi comincia a simulare le reazioni di una eventuale assemblea di Stellantis chiamata a ratificare le nozze con Renault, dopo che i maggiori azionisti, in base a quanto prevede lo statuto della società per chi detiene azioni per lo meno da tre anni, hanno esercitato la facoltà di aumentare i loro diritti di voto. Exor al 23,13%, Peugeot all’11,1% e il Tesoro francese al 9,9% attraverso la finanziaria Bpi. Se l’Italia volesse entrare in partita il ticket d’ingresso sarebbe ben superiore ai 4 miliardi ipotizzati per rilevare una quota significativa della Stellantis attuale. 

 

 

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