Cerca
Cerca
+

Auto elettrica, contrordine compagni! Ora è solo un mostro capitalista

Sandro Iacometti
  • a
  • a
  • a

Chi non ha letto Stato di paura, uno dei tanti capolavori di Michael Crichton, farebbe bene a mettersi rapidamente in pari. Il romanzo è di 20 anni fa, ma sembra scritto ieri: dati (veri e documentati) alla mano demolisce uno dopo l’altro tutti i luoghi comuni dell’ambientalismo ideologico (negli Usa già era in voga nel 2004) smascherando gli inganni, le manipolazioni della realtà e il furore talebano dei paladini dell’ecologia. La lettura è tanto più preziosa oggi, nel momento in cui il castello di contraddizioni costruito a colpi di allarmi e annunci catastrofisti sta iniziando a mostrare le prime vistose crepe.

Due indizi. Il primo arriva dagli Stati Uniti. Il mantra della sostenibilità, idolatrata in tutto il globo come fosse l’unica cosa di cui si debba veramente occupare un’azienda che voglia fare affari a testa alta, non tira più. Al punto che, dopo una serie di defezioni eccellenti ma solo abbozzate, il colosso Blackrock, il fondo di private equity più grande del mondo con oltre 9mila miliardi di masse gestite, ha deciso di abolire del tutto l’acronimo Esg (Environmental, Social, Governance, ovvero Ambientale, Sociale e Governance), bollino che anche in Italia tutti considerano una specie di marchio sacro, dalle sue operazioni finanziarie e dalle sue scelte di investimento. La mossa era nell’aria fin dalla scorsa estate, con il numero uno Larry Fink che aveva dichiarato di non voler più usare la parole Esg «perché abusata dall’estrema sinistra e dall’estrema destra». In questi giorni, sotto la spinta delle accuse di capitalismo “woke” da parte dei repubblicani ma anche degli scarsi rendimenti degli investimenti green, l’ufficializzazione. Equità sociale e rispetto dell’ambiente? Per Blackrock «Esg è una categoria misteriosa per molti clienti, sarà sostituita dall’espressione più concreta “transition investing”».

 

 

 

IL SECONDO INDIZIO

Crollato un totem, eccone un altro che traballa. È il secondo indizio, che arriva dalla Germania. Udite udite: l’auto elettrica è un prodotto del «capitalismo verde» e di «un attacco tecnologico totalitario alla società», che rappresenta «il colonialismo, l’accaparramento delle terree l’esacerbazione della crisi climatica», «le batterie al litio provengono dalle miniere tossiche del Cile e della Bolivia e divorano altri metalli rari, causando miseria e distruzione alle popolazioni delle zone minerarie». Parola di Vulkan, gruppo di estremisti di sinistra, attivisti ambientali, che ieri ha rivendicato il sabotaggio della fabbrica Tesla nel Brandeburgo (dove si produce il suv di punta Model Y per il mercato europeo), dando fuoco ad un traliccio della rete elettrica nei pressi dello stabilimento, provocando l’evacuazione dell’impianto e danni per centinaia di milioni.

Per Elon Musk si tratta degli «eco-terroristi più stupidi della terra oppure di burattini che non hanno buoni obiettivi ambientali». Ma per Vulkan Tesla «divora terra, risorse, persone e manodopera e sputa fuori 6.000 Suv. macchine assassine e monster truck alla setti mana».

 

 

 

IL NEMICO DELLE FAVOLE

Ecco se l’auto elettrica diventa una macchina assassina significa che qualcosa non torna. Significa che l’importante non è ridurre le emissioni di anidride carbonica o salvare il pianeta, ma avere un nemico da combattere e una favola in cui credere. La favola è quella del paradiso perduto pre-industriale, epoca in cui gli eco talebani probabilmente non avrebbero neanche avuto tempo e voglia di pensare alle loro fesserie. Il nemico, ovviamente, è Musk. Chi meglio di lui. Possibile che uno degli uomini più ricchi e potenti del globo possa far qualcosa per proteggerlo? 

Dai blog