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Fisco, stralcio delle cartelle? La sinistra sbraita, ma il caos è figlio del Pd

Sandro Iacometti
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Dopo 5 anni le cartelle esattoriali saranno automaticamente azzerate. E chi ha pendenze col fisco potrà chiedere di saldare il debito addirittura in 10 anni. Ma vuoi vedere che il governo, come hanno sbraitato ieri le opposizioni, si è davvero schierato con gli evasori? Che ha davvero ragione Repubblica quando titola a caratteri cubitali che «lo Stato si arrende»?

Il dubbio è legittimo. Ma solo per chi conosce poco la materia. E pochissimo la storia. Già, perché l’idea di risolvere una volte per tutte la grana della montagna di cartelle non riscosse (oltre 1.200 miliardi di euro dal 2000 ad oggi) non è una novità scaturita dalla mente diabolica dell’esecutivo delle destre per proteggere i delinquenti amici, ma l’attuazione dei suggerimenti che decenni orsono hanno rivolto all’Italia sia l’Ocse sia l’Fmi. Il più determinato a raccoglierli e a rilanciarli è stato Ernesto Maria Ruffini. Ma non il Ruffini di oggi, cinico direttore dell’Agenzia delle entrate al servizio del bieco governo Meloni. Bensì il Ruffini che nel 2015 fu messo da Matteo Renzi alla guida della Riscossione (allora Equitalia) e nel 2017 diventò anche direttore dell’Agenzia delle entrate per volere dell’ex premier Paolo Gentiloni.

 

 

 

L’AUDIZIONE

Ecco cosa diceva il manager pubblico nel luglio 2017. «L’Ocse nel rapporto del 2016 sul sistema della riscossione rilevava che l’ammontare dei crediti affidati anno per anno all’Agente della riscossione cresce molto più rapidamente delle somme che lo stesso Agente è in grado di riscuotere annualmente e ciò “...è probabilmente dovuto a diverse ragioni, ma soprattutto al fatto che i crediti inesigibili non vengono sistematicamente stralciati”». Non è tutto: perché oltre all’Ocse anche l’Fmi nel 2016 ha spiegato, argomentava sempre Ruffini nel corso di un’audizione del 2017, «che il sistema si presenta eccessivamente macchinoso in quanto impone lo svolgimento di attività di recupero pressoché indistinte per tutti i crediti iscritti a ruolo».

L’analisi è chiara: inseguire all’infinito decine di milioni di contribuenti per crediti che nel 90% dei casi sono inesigibili ottiene come unico risultato quello di paralizzare gli uffici. Ma diventa ancora più chiara nella relazione della Corte dei Conti del dicembre 2022, dove i magistrati puntano direttamente il dito sulle modifiche normative intercorse a partire dal 2015 che hanno complicato il discarico (lo stralcio) delle cartelle. In pratica le leggi volute dai governi di centrosinistra. Dopo aver spiegato che «la mancanza di una cancellazione degli arretrati» costituisce «una anomalia italiana» nel confronto europeo, la Corte va oltre, proponendo anche una soluzione. Quale? Udite udite, la stessa decisa dal governo: «Una volta decorso un congruo periodo di tempo dall’affidamento, ovvero 5 anni, i crediti non riscossi potrebbero essere automaticamente discaricati». Insomma, il grande favore agli evasori è una ricetta suggerita da Ocse, Fmi e Corte dei Conti.

Evidentemente anch’essi con malcelate simpatie per i furbetti e con una propensione alla “resa dello Stato”. La logica dietro lo stralcio è in realtà quella del pragmatismo e del buon senso, che permea tutta la riforma generale del fisco che l’Italia aspettava da 50 anni e che il governo è riuscito a mettere in campo nell’arco di 18 mesi (sono già dieci i decreti attuativi della delega). Rispondono a questo spirito la maxi rateizzazione dei debiti, con l’obiettivo di ottenere il possibile anche da soggetti in difficoltà economica, di uniformare il sistema sanzionatorio a quello europeo, che evita di far fallire il contribuente lasciando a secco l’erario, e il concordato preventivo biennale, con lo scopo di far emergere il nero.

 

 

 

LA LEZIONE DI VANONI

Che il governo non sia amico degli evasori è dimostrato dai numeri della lotta all’evasione del 2023, che con i suoi 24,7 miliardi recuperati rappresenta il record storico. Che il governo voglia far diventare il fisco amico dei contribuenti, in una logica di pragmatismo ma anche di equità e di impostazione culturale, è invece dimostrato dalle numerose norme (alcune riprese dallo Statuto dei contribuenti) che vengono incontro ai cittadini onesti che le tasse le pagano, anche se a volte non tutte e a volte non nella maniera giusta. Per chi pensa che la frase della Meloni sulle tasse che “non sono bellissime” sia scandalosa forse non ha mai sentito parlare di Ezio Vanoni, padre costituente della Dc, economista e artefice negli anni 50 dell’introduzione dell’Irpef, il quale sosteneva di non aver «mai visto i contribuenti incolonnarsi con la bandiera e la musica in testa per andare a pagare le imposte».

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