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Germania kaputt: la locomotiva tedesca ormai è un rottame

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Sandro Iacometti
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Che la navigazione di Olaf Scholz non avesse il vento in poppa lo si era capito abbastanza chiaramente il 9 giugno, con il tracollo elettorale dei socialdemocratici, precipitati al 14% e superati non solo ampiamente dalla Cdu (al 30%) ma anche, seppure di misura (il 16%), dalla destra di Afd. Lui ha fatto finta di niente ed è riuscito, insieme all’altro grande perdente Emmanuel Macron, a dare le carte a Bruxelles. Ma le cose non sono migliorate. Prima lo smacco del medagliere olimpico, che ha trascinato la grande Germania, non senza furiose polemiche interne, sotto la piccola Italia. Poi il terrorismo islamico, che il cancelliere, mentre esplode la rabbia per l’immigrazione fuori controllo e le espulsioni che non vengono eseguite (come quella del colpevole della strage di Solingen), pensa di combattere vietando i coltelli. Ma il vero ostacolo alle aspirazioni di Scholz, ormai ridotte al lumicino, di proseguire il suo cammino è il claudicante andamento dell’economia.

A inizio agosto quel +1,4% della produzione industriale di giugno aveva dato una sottile illusione di ripartenza dopo la brutta flessione del 2,5% a maggio e i pessimi dati trimestrali sul Pil, sceso dello 0,1% nel secondo trimestre a fronte di una crescita dello 0,2% dell’Italia e dello 0,3% della Francia. Sogni spazzati via nell’arco di un paio di settimane. I segnali della retromarcia della ex locomotiva d’Europa sono riapparsi ieri in maniera inequivocabile, con la pubblicazione dell’Indice Ifo, che misura la fiducia delle imprese. L'indicatore della situazione economica, basato su un questionario mensile inviato a 9.000 dirigenti d'azienda, è sceso di 0,4 punti in un mese, a 86,6 punti. Si tratta del quarto calo consecutivo. Ma a spaventare più che i numeri sono le parole. Quelle di Clemens Fuest, presidente dell’Ifo, secondo cui «l'economia tedesca sta sprofondando nella crisi». L'indice, si legge in un comunicato dell’Istituto, è sceso bruscamente nel settore manifatturiero, dove gli affari correnti sono giudicati meno buoni e le aspettative per i prossimi sei mesi sono scese al livello più basso da febbraio. I produttori di beni strumentali, in particolare, vedono ridursi il loro portafoglio ordini. E il sentimento delle imprese si è deteriorato anche nel settore dei servizi, mentre è rimasto stabile, ma a un livello basso, nel settore delle costruzioni.

L’unico timido miglioramento è quello registrato nel settore del commercio al dettaglio. La sostanza è che l’attività della prima economia del continente si è contratta nel secondo trimestre, contro ogni aspettativa, e non ci sono segnali di miglioramento in vista. La fiducia manca perché «l'economia globale è in difficoltà, i rischi geopolitici permangono e l'esito delle elezioni presidenziali statunitensi si profila come un'ulteriore incertezza», commenta Elmar Völker, economista di LBBW. Il quale ha aggiunto che, nonostante le misure annunciate in estate per rilanciare la crescita, «la performance del governo federale testimonia più la sua impotenza che uno spirito di ottimismo». Il governo di coalizione del cancelliere Scholz, infatti, prevede solo una leggera crescita dello 0,3% nel 2024, ben al di sotto di quanto previsto per l'intera eurozona (0,8% secondo la Commissione europea). E non è affatto detto che le stime si rivelino esatte. Non che per l’Italia ci sia molto da gioire, intendiamoci. La Germania rimane il nostro principale partner economico, sia in termini di export (74,6 miliardi) sia di import (89,7 miliardi), con una partnership complessiva che nel 2023 ha raggiunto il valore di 164,3 miliardi. E la frenata della nostra industria è un segnale abbastanza evidente dei guai tedeschi. Il problema, per noi e per l’Europa, è che Scholz, contro tutto e tutti, vuole restare aggrappato alla poltrona fino alla fine. Anzi. Malgrado la debacle elettorale, olimpica, politica ed economica il leader socialista ha dichiarato di voler correre per un secondo mandato. Un’ostinazione difficilmente comprensibile che potrebbe costare cara all’intero continente.

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