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Lombardo molla, ma è solol'ultima cassata

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Don Raffaele si è dimesso, ma è una sceneggiata. Via lui sprechi e regalie della Casta continueranno. Ora il premier dica chiaramente se manderà il commissario

Andrea Tempestini
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La Sicilia è il buco nero del bilancio pubblico italiano. Non il solo per la verità, ma rispetto agli altri buchi attraverso i quali si disperdono in mille rivoli i soldi versati dai contribuenti, quello siciliano è un buco speciale, anzi a statuto speciale, che non ha paragoni con nessun altro. Non soltanto perché, grazie all'autonomia, l'isola gode di un maggior numero di privilegi perfino in confronto a Trentino Alto Adige e Val d'Aosta, che pure non se la passano male, ma anche perché è l'unica che si rifiuta di tagliare le spese e di mettere a dieta il proprio bilancio nonostante la situazione economica del Paese lo imponga. Non date retta, infatti, alla sceneggiata delle dimissioni del governatore Raffaele Lombardo, il quale dopo settimane di tira e molla alla fine ha presentato la lettera d'addio. L'uscita di scena del presidente della Regione - ammesso e non concesso che sia definitiva - non cambia niente. Via Lombardo, tutto continua come prima, forse peggio di prima. Ne è prova il discorso fatto dall'assessore regionale al Bilancio, Gaetano Armao, il quale ha ammesso che ci sono forti spinte  della classe politica locale a non affrontare la spending review. «Io presento l'emendamento e la Commissione bilancio lo mette nel cassetto. Il problema è questo: mentre una classe dirigente del Paese fa certe scelte, perché la Sicilia non le fa?». Le ragioni di tanta riluttanza a usare le forbici le ha spiegate con disarmante franchezza un altro politico isolano, nientepopodimeno che il presidente dell'Assemblea di Palazzo dei Normanni, tal Francesco Cascio. Il quale ha ammesso con spudoratezza che «non ci sono le condizioni finanziarie e politiche per portare avanti il piano di revisione della spesa». Un modo di dire chiaro e tondo che gli sprechi non si tagliano in quanto ci sono le elezioni. Nessun partito ha infatti intenzione di fare qualcosa che possa nuocergli, mettendosi contro gli elettori a pochi mesi dall'apertura delle urne. In seguito alle dimissioni del governatore, la Sicilia sarà chiamata ai seggi in autunno e già ogni schieramento si sente in campagna elettorale. Dunque chiudere i rubinetti non è possibile, anzi si rischia che per rastrellare voti ci sia chi li apra ancora di più. In tal caso i 20 mila dipendenti della Regione, che secondo alcuni (ad esempio la Voce.info) attraverso diversi sistemi raggiungerebbero la cifra record di 140 mila, potrebbero aumentare. Altro che camminatori, forestali, portantini e addetti alla statistica regionale. Qui c'è il pericolo che qualcuno assuma altre persone, inventandosi ruoli e incarichi. E a questo proposito non possiamo che registrare quanto accaduto ieri pomeriggio, nelle ore immediatamente precedenti alle dimissioni di Raffaele Lombardo. Come è risaputo, la lettera di addio del governatore ieri si è fatta aspettare e a quanto pare non per un repentino ripensamento del presidente siciliano, ma a causa del tempo richiesto per le ultime nomine e promozioni. Prima di mollare lo scranno, Lombardo ha voluto premiare i fedelissimi con un bel pacchetto regalo, ovviamente a carico della cassa regionale, la quale prima di essere riempita da Mario Monti con circa 800 milioni in cambio dell'addio del governatore, era più vuota di quella della Grecia, al punto da far temere il fallimento. Un primato che si aggiunge agli altri della Regione, ovvero un tasso di disoccupazione tra i più alti d'Italia e un prodotto interno lordo tra i più bassi. Senza contare i debiti naturalmente, stimati in almeno cinque miliardi, ma secondo la Corte dei conti in rapida ascesa, anche perché alcune voci contabili del bilancio sono «suggestive quanto discutibili». Risultato: per il 2012 la differenza tra le entrate finali e il rimborso dei prestiti ammonta a 9 miliardi e 400 milioni. Di fronte a questo disastro, chi guida la Sicilia e ha il compito di riportarne in attivo i conti che fa? Parla di complotti contro i siciliani per favorire le Regioni del Nord, come se gran parte degli articoli sul bilancio fallimentare dell'amministrazione isolana usciti sulla stampa nazionale e sui siti non fosse scritta proprio da siciliani. I quali, in quanto siciliani e amanti della Sicilia, il buco nero della malapolitica lo hanno in odio e lo vorrebbero chiudere. A differenza dei finti risanatori. Che pensano di continuare a fare politica a spese dei contribuenti, comprando voti e clientele a carico dello Stato. Ripetiamo dunque le domande fatte nei giorni scorsi a Mario Monti e ai suoi ministri: è possibile che agli italiani sia richiesto di tirare la cinghia e una Regione d'Italia possa chiamarsi fuori continuando i costumi di quasi settant'anni di sprechi? È o non è ora di darci un taglio, decidendosi a commissariare Palazzo dei Normanni? In nome della spending review che si impone al 90 per cento del Paese urgono risposte. di Maurizio Belpietro

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