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Sallusti non evase, ora Napolitano conceda la grazia

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Ci saremmo attesi una legge che purtroppo non c'è stata. Dunque non resta che l'intervento del presidente della Repubblica

Eliana Giusto
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di Maurizio Belpietro Tanti, anche fra i colleghi, avrebbero voluto che ieri calasse il sipario su Alessandro Sallusti. Non nel senso che finalmente si ponesse fine alla sua carcerazione, seppur domiciliare, ma con l'arresto vero e proprio. Il sogno non confessato da alcuni, ma da altri liberamente rivelato, prevedeva che il direttore del Giornale, condannato a 14 mesi di carcere per diffamazione di un giudice, fosse tradotto in schiavettoni fino a San Vittore, come un criminale incallito. L'invidia professionale e l'odio politico sono però rimasti a becco asciutto perché il magistrato cui toccava emettere la sentenza per la presunta evasione dalla casa in cui era stato ristretto, ha stabilito che la fuga non c'è stata. Sallusti uscendo dalla porta della palazzina che divide con Daniela Santanché non ha cercato di sottrarsi alla pena cui è stato condannato con sentenza definitiva, ma ha solo voluto manifestare con un gesto simbolico l'iniquità della detenzione per l'omesso controllo su di un  articolo non scritto da lui. In nessun altro Paese europeo un giornalista è chiamato a rispondere con la privazione della propria libertà di un errore, per di più involontario.  Ma nel Paese in cui perfino gli assassini trovano modo di farla franca, un cronista che sbaglia è punito con il massimo della pena. La colpa, come abbiamo scritto, non è dei magistrati: hanno un forte potere di discrezionalità nella stesura delle sentenze, ma si limitano ad applicare la legge, la quale può sanzionare un articolo non veritiero o un'opinione eccedente i limiti di critica con la detenzione. La responsabilità è della politica e del Parlamento, che di fronte alla violazione di un diritto costituzionalmente stabilito come la libertà di stampa, ha preferito chiudere gli occhi, anzi rallegrarsi. Molti onorevoli hanno visto nell'arresto di Sallusti una sorta di contrappasso:  voi giornalisti ci accusate di rubare esponendoci al pubblico ludibrio,  ma alla fine in galera ci finite prima di noi.  E che Sallusti fosse destinato ad andare dietro le sbarre non c'è ombra di dubbio. Da qui le ironie in rete sul presunto trattamento di favore di cui avrebbe goduto grazie alla decisione del procuratore capo di Milano di mandarlo a casa anziché in gattabuia. Grazie alla protesta simbolica dell'evasione, gli odiatori di professione all'ultimo avevano sperato di poter godere del trasferimento in manette di Alessandro dalla sua confortevole abitazione alla meno confortevole prigione milanese. Ma il giudice ha dimostrato di avere più buon senso ed equità dei molti che si definiscono giornalisti o politici, ai quali tutto sommato non dispiace di godere delle disgrazie altrui, soprattutto se i guai capitano a chi è ritenuto antipatico o più semplicemente avere idee diverse. Per fortuna l'uomo della legge non ha inteso dare ascolto a chi tifava per il reclusorio: i sei mesi chiesti dal pm, sommandosi ai 14 già comminati, avrebbero fatto scattare l'obbligatorietà della detenzione in carcere. E così non è stato. Tuttavia, ora che la protesta è stata giudicata per quel che era e non per un atto criminale, evitandogli dunque un aggravio di pena, non vorremmo che ci si dimenticasse di lui. Il rischio infatti è che qualcuno scambi la detenzione domiciliare per una vacanza, quasi come se il direttore del Giornale fosse stato condannato alle ferie coatte, rinchiuso in salotto e costretto a riposarsi o a fare ginnastica. Sallusti non può uscire se non per ragioni di sussistenza o dietro via libera del magistrato. In casa non può ricevere nessuno che non sia autorizzato e i contatti sono ristretti alla ridotta cerchia famigliare. Certo c'è di peggio di quel che patisce Alessandro, e chi sta al fresco lo sa. Ma persone che siano state private della libertà per una parola di troppo è difficile rintracciarne dietro le sbarre: magari sono innocenti e in attesa di giudizio, ma accusati di reati più gravi.  Comunque non è qui il caso di rifare tutta la storia, né di criticare una sentenza. La condanna è definitiva e come tutte le condanne, anche se non condivise, si rispetta. Ci saremmo attesi una legge che rimediasse all'eccesso, ma purtroppo non c'è stata. Dunque, come sin dal primo giorno abbiamo indicato, non rimane che una via, ed è quella della grazia. Per non finire in fondo alla classifica dei Paesi che violano la libertà di stampa e tengono in catene i cronisti c'è bisogno di un atto di clemenza: che non vuol dire quarto grado di giudizio, ma solo la cancellazione della pena da parte del capo dello Stato.  È per questo che oggi, dopo l'assoluzione di Alessandro per un'evasione che non c'è stata, torniamo a sollecitare un gesto dal Quirinale. Lo facciamo con la forza delle migliaia di firme di lettori e politici che si sono unite alla nostra richiesta, tra le quali anche quella di un parlamentare, nonché avvocato difensore di Sallusti. Ignazio La Russa ha infatti aderito all'idea della grazia, sottoscrivendo l'appello promosso alla Camera.  Noi crediamo che in un momento così difficile come quello che sta vivendo il Paese, un gesto pacificatore di Giorgio Napolitano non potrà che far bene. E per sollecitarlo, oggi stesso spediremo una lettera al Colle con una richiesta formale di clemenza, augurandoci che il capo dello Stato, visto l'alto numero di adesioni, possa valutarne in tempi brevi l'accoglimento. Sarebbe il miglior viatico per il nuovo anno e la nuova legislatura che tra pochi mesi si affaccerà. Speriamo.    

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