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Monti, Bersani e Vendola: matrimonio d'interesse

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I tre in comune hanno solo la voglia di potere. Non sanno come uscire dalla crisi e alle prime difficoltà piazzeranno altri 7 miliardi di tasse

Giulio Bucchi
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di Maurizio Belpietro Nonostante le smentite fatte nei giorni scorsi dai piccioncini, Monti e la sinistra sono pronti a convolare a nozze. Manca ancora l'affissione delle pubblicazioni ufficiali, tuttavia siamo in grado di annunciare che il matrimonio si farà. Lo vuole Bersani, lo desidera il premier, e ora lo vagheggia anche il terzo incomodo del triangolo amoroso, ovvero Nichi Vendola. Anzi a rivelare il prossimo sposalizio è lo stesso governatore della Puglia il quale, dopo le frasi poco concilianti diffuse nelle scorse settimane contro il presidente del Consiglio, ieri si è invece lasciato sfuggire che con Monti il compromesso è possibile: basta che il professore corregga alcune sue riforme, cioè dichiari di essere disposto a rimetter mano alla legge sul lavoro voluta dal ministro Fornero. Del resto, che l'inciucio fra centro e sinistra fosse dietro l'angolo per noi non è mai stato un mistero. A rivelarcelo era stato uno dei principali alleati del premier, il quale nei giorni caldi della candidatura di Gabriele Albertini, aspirante governatore in Lombardia per conto di Scelta civica, ci aveva confidato che per Monti  sarebbe stato auspicabile che l'ex sindaco si levasse di torno, evitando di far concorrenza al centrodestra dalle cui fila proviene. «Al Senato», disse, «a noi conviene che il Cavaliere riesca a sottrarre qualche seggio a Bersani, in modo da consentirci di offrire i nostri servigi al Pd». Già, se la sinistra ottiene voti sufficienti a conquistare sia Montecitorio che Palazzo Madama, Monti e i suoi sono buoni a nulla. Ma nel caso in cui per governare la coalizione progressista  non abbia i numeri, il presidente del Consiglio può fare da stampella, negoziando qualche incarico di prestigio (si parla della presidenza del Senato o addirittura del Colle) in cambio dei parlamentari mancanti.  Insomma, alle spalle degli elettori, tra Bersani, Monti e Vendola si sta consumando un matrimonio d'interesse. Sinistra e centro stanno combinando le nozze, mettendosi d'accordo per il dopo, decisi a conquistare Palazzo Chigi e a rimanervi anche nel caso non avessero le carte in regola - cioè una solida maggioranza - per governare. Che si tratti di un'unione contro natura è fuori discussione perché, come abbiamo spiegato più volte, centro e sinistra promettono agli elettori di essere diversi e si impegnano ad applicare politiche in contrasto fra loro. In realtà, una volta incassati i voti dei moderati che si saranno fatti incantare dalla parlantina professorale di Monti, Scelta civica e i suoi alleati Fini e Casini porteranno i consensi in dote a Bersani e Vendola, dando vita a una convivenza tra vari soggetti, in pratica un'ammucchiata. Il lettore più scaltro a questo punto si domanderà dove condurrà lo sposalizio e cosa possano fare insieme dei tipi fra loro così profondamente in contrasto, per cultura e curriculum. La risposta è semplice. Ad accomunarli sono l'ambizione e i fallimenti. Bersani, Vendola e Monti, pur con esperienze diverse, hanno tutti voglia di potere. I primi due perché da troppo tempo ne sono esclusi, il terzo perché dopo averlo assaporato nell'ultimo anno non ha alcuna intenzione di rinunciarvi. Sia i leader di sinistra che il bocconiano sanno di non avere un progetto per rilanciare il Paese. Ai dati che abbiamo pubblicato ieri, riportando giudizi e previsioni della Banca d'Italia, c'è poco da aggiungere, se non che la medicina del premier  - oltre ad essere amara - non è riuscita a curare la malattia dell'Italia. Insieme però il trio Lescano della politica di centro-sinistra punta a tirare a campare, in attesa che l'economia si riprenda da sola, e per far ciò è pronto a mettere nuove tasse. Perché con Bersani e Vendola al comando è assai facile che la spending review, ovvero il taglio alle spese, venga abbandonata. Come spiegava l'altro ieri il Sole 24 Ore, le proposte della sinistra per contenere le uscite statali sono scarsamente efficaci e dunque per far quadrare i conti non restano che le tasse.  Il leader del Pd, a differenza di Vendola, nega di voler mettere una nuova patrimoniale, ma siccome sotto il tappeto del bilancio statale potrebbero nascondersi delle sorprese, la via di una nuova manovra appare obbligata.  Se, come illustravano ieri alcuni quotidiani, il Pil continuasse a calare, cosa che da mesi segnaliamo, servirà una stangata da 7 o forse più miliardi. A primavera, cioè a urne chiuse, il nuovo esecutivo Bersani-Monti-Vendola annuncerà l'urgenza di correggere i conti pubblici, mettendo le mani in tasca agli italiani: in particolare a quelli che non nascondono i soldi al Fisco. E visto che di denaro facile prelevato dal portafogli dei contribuenti lo Stato non ne ha mai a sufficienza, con i triumviri della Santa alleanza anti Cavaliere avanza anche un progetto, ovvero la confisca dei conti correnti di chi non riesce a spiegare come ha messo da parte il gruzzolo. Siamo insomma allo scippo finale. Ammesso e non concesso che la tecno-sinistra si accontenti di un solo prelievo. Ma visto l'andazzo, temiamo che con Bersani, Monti e Vendola uniti nella lotta, sarà cassa continua. Ovviamente la nostra.      

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