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Sottomessi all'Islam? Brutti segnali da Berlino e Londra

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Maurizio Belpietro
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Il giorno dopo la strage nella redazione di Charlie Hebdo, Libero è uscito con una prima pagina il cui titolo principale era: «Questo è l'islam». Per noi si trattava di una sintesi efficace dell'intolleranza islamica, pronta a uccidere in nome della fede. Apriti o cielo: in Rete sono state ore di distinguo, nel senso che i soliti noti ci hanno spiegato che il titolo corretto sarebbe stato: «Questo non è l'islam» e che noi con quella frase criminalizzavamo un miliardo e mezzo di persone a causa della loro fede. Tra i critici c'è chi ci ha messo sullo stesso piano dei terroristi e chi si è spinto più in là, con epiteti vari. Ma non è di questo che ci lamentiamo. Premesso che non tutti gli islamici sono terroristi (attenzione però: quasi tutti i terroristi sono islamici) il problema è che chiunque osi attaccare il fondamentalismo islamico e l'integralismo religioso alla base degli atti di terrorismo si sente rispondere che i jihadisti, cioè coloro che uccidono, sgozzano e organizzano attentati in nome della guerra santa, non sono veri islamici, ma fanatici che non hanno nulla a che fare con l'islam. Sarà forse vero che i terroristi sono fanatici, ma che non c'entrino proprio nulla con l'islam o che c'entrino solo con una branca estrema dell'islam è un po' più difficile da credere. Ne è prova ciò che è successo nei giorni immediatamente successivi allo sterminio dei redattori di Charlie Hebdo.   Clicca e leggi l'editoriale integrale di Maurizio Belpietro

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