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Spread giù e Borsa su. Effetto Berlusconi?

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Piazza Affari positiva dimostra che il terrorismo della stampa sulle proposte fiscali del Pdl è propaganda. La verità? Sinistra e centristi arrancano perchè hanno sottovalutato Silvio

Andrea Tempestini
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di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet Ieri la Borsa è salita e lo spread è ridisceso. Colpa di Berlusconi o perlomeno così si dovrebbe concludere se si dà retta ai commenti che un po' ovunque, sempre ieri, sono comparsi sulla stampa italiana. Se l'indice di Piazza Affari è caduto lunedì di oltre quattro punti e il differenziale tra i nostri titoli di Stato si è riavvicinato a quota trecento, secondo i principali editorialisti è a causa delle promesse del Cavaliere. I mercati sarebbero stati spaventati dalle intenzioni di voler restituire l'Imu e di varare un condono tombale, di conseguenza gli investitori si sarebbero affrettati a vendere le azioni e pure i Bot. Fosse vero, avendo il leader del centrodestra ribadito  i suoi propositi in nuove interviste televisive, si dovrebbe ritenere che se  ieri l'indice FtseMib ha guadagnato l'uno per cento e lo spread è ridisceso, la responsabilità è sempre di Berlusconi.  È probabile che invece, per giustificare la correzione positiva, i medesimi commentatori di complemento si avventureranno in nuove e più ardite argomentazioni, spiegando che se le cose vanno male si devono addebitare al leader del centrodestra, se invece  migliorano è solo per effetto del senso di responsabilità della sinistra e del suo illuminato candidato, o, al massimo, dell'attuale presidente del Consiglio, il quale solo con la sua presenza restituisce credibilità e speranza ai mercati, che, notoriamente, regolano i propri investimenti in denaro scrutando la faccia di Monti, il suo sense of humour britannico, il suo sobrio stile misurato. Difficilmente però insieme a queste osservazioni troverete valorizzato il discorso che sempre ieri il presidente della Corte dei conti ha rivolto alla classe politica in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario. L'alto magistrato cui compete il controllo contabile sulla pubblica amministrazione, insieme a considerazioni sulla corruzione del sistema e sulle sue disfunzioni, ha osservato che in Italia si pagano troppe tasse. Niente di nuovo direte voi, ma in realtà Luigi Giampaolino ha aggiunto che il ricorso ad aumenti del prelievo tributario ha «forzato una pressione fiscale già fuori linea nel confronto europeo», «favorendo le condizioni per ulteriori effetti recessivi». Non solo, per l'alto magistrato «la pur comprovata maggiore efficacia delle misure di contenimento della spesa pubblica non ha, inoltre, consentito, in presenza di un profilo di flessione del prodotto, la riduzione dell'incidenza delle spese totali sul Pil, che resta al di sopra dei livelli pre-crisi». Sintassi a parte, il discorso è chiaro. Questo governo ha messo troppe tasse e le troppe tasse non sono servite a ridurre il debito né vi è stato un risultato apprezzabile sul fronte della spesa pubblica. Ne consegue che i dati macroeconomici sono sempre pessimi, anzi, se possibile, sono peggiorati, perché il Prodotto interno lordo è diminuito. Anche qui niente di nuovo. Sono mesi che Libero ripete la stessa solfa, segnalando che il governo marcia nella direzione sbagliata e rischia di fare più danni di quanti dica di volerne risolvere: la crescita delle ore di cassa integrazione e dei disoccupati ne è  la prova. Però questa volta non siamo noi giornalisti a sostenerlo, ma è il più alto in grado dei magistrati contabili, colui a cui tocca di far le bucce alle spese della pubblica amministrazione. E le sue parole si aggiungono a quelle di Salvatore Nottola, procuratore generale della stessa Corte, che promuove l'idea del condono fiscale e degli organismi internazionali più quotati - dal Fondo monetario internazionale alla Banca centrale europea - i quali in più di un'occasione hanno segnalato che la politica di solo rigore e tasse fa più male che bene, perché deprime l'economia e rallenta i consumi. D'accordo rimettere in sesto i conti, ma la via per raggiungere il risultato non passa dall'aumento della pressione fiscale bensì dalla sua diminuzione. Il taglio delle tasse può stimolare la crescita, far tornare la fiducia nei consumatori e di conseguenza indurre le imprese ad aumentare il personale, creando nuovi posti di lavoro.  Ciò nonostante, cioè sebbene sia la Corte dei conti sia Fmi e Bce critichino le politiche economiche di questo governo, il somaro rimane sempre Berlusconi, il quale  alla crisi risponde con  un mix di misure che puntano al taglio delle tasse e alla sburocratizzazione. Se il Cavaliere propone di azzerare l'Imu sulla prima casa, restituendo quella che i contribuenti hanno versato nel 2012 (costo dell'operazione 7 miliardi) è un ciarlatano e un irresponsabile che fa crollare le Borse e salire lo spread. Se al contrario Mario Monti assicura, come ha fatto nel tentativo di inseguire il capo del centrodestra, di poter ridurre l'Imu, tagliare l'Irpef e anche l'Irap (costo complessivo 30 miliardi) è una persona seria e credibile. La verità, più banalmente, è che tutti, dalla sinistra di Bersani al centrino del presidente del Consiglio, avevano sottovalutato Berlusconi. Nessuno credeva alla possibilità di una sua rimonta. Nessuno riteneva che ancora una volta il leader del centrodestra fosse capace di una straordinaria riscossa.  Adesso che i sondaggi lo danno a pochi punti dal Pd e dai suoi alleati, ora che ci si rende conto che la sinistra potrebbe perdere delle elezioni che credeva già vinte, proprio come accadde vent'anni fa alla gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto, bene, nel momento in cui Bersani e Monti hanno avuto un brusco risveglio, eccoli agitarsi e sbracciarsi. Le generiche proposte economiche del segretario del Pd non bastano a persuadere gli elettori e quelle del premier non sono convincenti semplicemente perché negli ultimi quattordici mesi Monti ha fatto il contrario di quanto ora promette. A questo punto i due sono pronti ad allearsi e a sostenersi a vicenda pur di non farsi sorpassare. Il loro è un matrimonio di interessi, un accoppiamento per evitare il peggio, l'inciucio fra una sinistra a corto d'idee e un centro tecnocratico che idee ne ha ma sbagliate. Una cosa è certa: per quanto facciano e per quanto promettano, non andranno lontano. Anzi, viene in mente un vecchio slogan del Pci: vengono da lontano e vogliono andare lontano. Sono solo di passaggio.

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