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Paolo Scaroni, allarme sulla Libia: "Tra poche settimane sarà un disastro per l'Italia, serve governo regionale"

Giulio Bucchi
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Un governo regionale in Tripolitania, per finirla con la finzione della Libia, "un sogno impossibile". A dirlo è Paolo Scaroni, vicepresidente della banca Rotschild e sopprattutto ex amministratore delegato di Enel ed Eni, uno degli uomini che meglio conosce e può decifrare il caos apertosi nel Paese dopo la morte di Gheddafi. Intervistato dal Corriere della Sera, Scaroni invita a puntare più realisticamente a una stabilizzazione parziale. Un esecutivo più facile da far nascere, dal quale arriverebbe finalmente l'appello dalla comunità internazionale per un intervento che lo sostenga e al contempo agisca contro l'Isis. "Rischiamo un disastro" - Scaroni definisce la Libia la "prima emergenza nazionale" per l'Italia: "È casa nostra - spiega -. Credo che avere uno Stato fallito a 80 chilometri dalle nostre coste sia un rischio enorme. In primo luogo per l'immigrazione di carattere economico, incontrollata e incontrollabile, che a differenza del passato rischia di bloccarsi da noi. Con il blocco delle frontiere da parte di molti Paesi, c'è la concreta prospettiva che l'Italia diventi una grande Calais. Quelli che passano dalla Libia non sono siriani, ma povera gente dai Paesi dell'Africa che cercano un futuro migliore. Già nelle prossime settimane potremmo vedere arrivare sulle nostre coste 2/3mila disperati al giorno. Il problema libico è colossale, ci riguarda direttamente e deve essere al primo posto dell'agenda di governo, non solo per l'immigrazione". "Ecco cosa dobbiamo fare" - "È da mesi, se non da anni - sottolinea Scaroni - che ci viene ripetuto il refrain: possiamo intervenire in Libia solo se un governo legittimo ce lo chiede. Il punto è che questo governo solido non riusciamo a vederlo. Si succedono aborti di governi, delegittimati nello spazio di poche ore, in conflitto tra di loro". "La verità - aggiunge - è che se guardiamo i libri di storia, si scopre che Cirenaica, Tripolitania e Fezzan sono da poco un Paese. Fummo noi italiani nel 1934 a inventarci la Libia, invenzione coloniale che non è sentita da nessuno. Ora, se invece di cercare di comporre questo puzzle difficilissimo, ci semplificassimo la vita e cercassimo di favorire la nascita di un governo in Tripolitania, che poi facesse appello a forze straniere che lo aiutino a stare in piedi, credo che potremmo risolvere parte dei nostri problemi: i nostri migranti economici non vengono da Bengasi, partono tutti dalla costa tripolina".

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