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Harvey Weinstein, tutta la verità sul processo: quelle prove sparite, ciò che non torna

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Davide Locano
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«Non credo alla loro innocenza. Lo sguardo dice tutto. Colpevoli». Questa frase non è presa da un manuale della Santa Inquisizione medioevale o dall' opera ottocentesca di Lombroso, ma da un social network di pochi giorni fa, a commento dell' ennesimo caso giudiziario raccontato dalla televisione. Nessun caso è stato raccontato nel mondo come quello di Weinstein, nessun verdetto è stato più unanime. Ora è arrivata la verità del tribunale, ma non è quella che tutti si aspettavano e che ancora oggi giornali e televisioni ripetono, senza aver capito - e forse neppure letto - cos' è accaduto in quel processo. Leggi anche: "Sesso a tre, così Weinstein mi ha fregata": parla l'attrice italiana Procediamo con ordine: a ottobre 2017 il New York Times e il New Yorker riportano le accuse ad Harwey Weinstein - potente produttore cinematografico, cofondatore della Miramax e della Weinstein company - di molestie sessuali, aggressioni sessuali, violenza sessuale di alcune attrici. In seguito a queste dichiarazioni, molte altre lo accusano di fatti simili. Secondo un censimento dell' Huffington Post, 93 donne si dichiarano vittime di Weinstein e 14 di loro testimoniano di essere state stuprate; 80 hanno un nome e un cognome. Dalle loro descrizioni emerge un "sistema Weinstein": egli invitava le giovani attrici in hotel o in ufficio con il pretesto di discutere della loro carriera, esigendo in seguito un massaggio o un rapporto sessuale. Queste pratiche erano agevolate dal suo staff, che organizzava gli appuntamenti, ed anche dagli avvocati e pubblicisti che cancellavano le denunce con l' aiuto di minacce e accordi finanziari. Da queste accuse sono nati due processi in territorio americano. I DUE PROCEDIMENTI Uno - appena chiuso - a New York, che ha come vittime due donne. L' altro a Los Angeles, che è in fase preliminare. Le imputazioni riguardano a vario titolo reati sessuali violenti. Una prima riflessione è necessaria: dove sono finite tutte le altre accuse raccolte in sede giornalistica? Anche al netto dei fatti non perseguibili penalmente per il tempo decorso, il divario tra i casi denunciati pubblicamente e quelli portati a processo è enorme. Proviamo a spiegarlo. Negli USA l' azione penale è discrezionale. Questo consente al Procuratore distrettuale non solo di selezionare i casi in base a determinati indici di priorità, ma anche di non procedere quando l' accusa abbia probabilità non elevate di essere accolta dalla giuria. Tale scelta è dettata da un motivo semplicissimo: il Procuratore che perde casi importanti o non ha una percentuale di vittorie adeguata viene mandato a casa. Situazione che in Italia è impossibile, poiché i magistrati sono scelti per concorso e la loro rimozione può avvenire solo a seguito di procedimento disciplinare, ma le sanzioni per negligenza (a differenza di quelle comminate per la violazione di altri doveri) sono piuttosto rare e mai della massima entità. Inoltre negli USA vige il principio secondo cui la colpevolezza deve essere provata al di là del ragionevole dubbio (acronimo b.a.r.d.), il che suggerisce prudenza nella valutazione delle probabilità di condanna. È ben vero che questo principio dal 2006 esiste anche nel nostro ordinamento, ma esso viene interpretato diversamente da come avviene nel sistema americano, dove ha una tradizione secolare e un' applicazione assai rigida, di cui un esempio celebre è il processo a O.J. Simpson (considerato il più importante caso forense della storia), conclusosi con l' assoluzione, nonostante l' accusa disponesse di prove apparentemente schiaccianti. Evidentemente, le denunce pubbliche delle attrici non sono state ritenute sorrette da prove sufficienti, oppure (ed è la maggioranza di casi) neppure prese in considerazione ed investigate, poiché prive di rilevanza criminale: categorie sociologiche (della cui validità scientifica dirà la storia) e categorie giuridiche non coincidono; i giudici non sono missionari, ma esegeti della legge, che è l' unico ordine razionale che sono tenuti a considerare. Ma torniamo al processo. A carico di Weinstein erano elevati cinque capi d' imputazione: aggressione sessuale predatoria (due), stupro di primo grado, atto sessuale criminale di primo grado, stupro di terzo grado. Cosa siano questi reati è scritto nel box a centropagina. Weinstein è stato assolto per le tre imputazioni più gravi, condannato per le due meno gravi (atto sessuale criminale di primo grado e stupro di terzo grado, quest' ultima ipotesi lieve, tanto da essere considerata di classe E, in un ordine di gravità che inizia dalla A). In termini matematici è un insuccesso dell' accusa: assegnando a ciascun reato oggetto del processo un punteggio di gravità da 1 a 10, l' accusa era di 39 (9+9+8+8+5), la condanna è di 13 (8+5). RESOCONTI DELLE VITTIME Ma il dato più rilevante è un altro: Weinstein è stato condannato per reati violenti, il più grave dei quali (sesso orale su una ex-dipendente della sua casa di produzione durante il periodo mestruale) realizzato con pura coercizione fisica. Così la vittima racconta l' episodio: «It was not long, though, before he was all over me making sexual advances. I told him 'no, no, no,' but he insisted. He then orally forced himself on me while I was on my period. I was in disbelief and disgusted. I would not have wanted anyone to do that to me even if that person had been a romantic partner». Cade, così, lo schema concettuale alla base dell' interesse per questo caso e dell' ondata ideologica che lo ha seguito: l' abuso di potere. Le azioni per cui c' è stata condanna penale sono quelle di un bruto, assetato di sesso, rispetto a cui il ruolo di potere nel mercato cinematografico è l' occasione, non la causa, anzi ha fornito un alibi all' imputato. Dai resoconti delle stesse vittime (la seconda delle quali ha ammesso di aver avuto una prolungata relazione consensuale con Weinstein), oltre che delle altre testimoni d' accusa, emerge come vi era un forte interesse a intrattenere "buone relazioni" con il produttore, i cui inviti negli appartamenti privati erano ben accetti (ancorché la "prassi" di Weinstein in quegli incontri fosse nota da tempo), nella speranza di ottenere vantaggi di carriera. Questo è stato uno degli aspetti che ha messo in difficoltà l' accusa, portando l' avvocato difensore - Donna Rotunno - ad affermare che i pubblici ministeri «hanno creato un universo che spoglia donne adulte di buon senso, autonomia e responsabilità. In realtà è offensivo». LA CROCEFISSIONE Il profilo della coercizione è rimasto controverso, la Procura distrettuale non ha portato prove materiali delle violenze, ma solo le dichiarazioni delle interessate e l' abitualità del comportamento sessualmente esplicito dell' imputato. Ciò che si evince con chiarezza dalla vicenda (e dalla sua delimitazione processuale agli episodi di violenza) è che proposte sessuali, approcci molesti, pressioni psicologiche, ancorché fatti da un uomo di potere, non sono un illecito fintantoché la donna può esercitare la prerogativa propria degli esseri intelligenti: il libero arbitrio. Evanescenti formule criminologiche (manipolazione, plagio, ricatto, sudditanza), spesso evocate da improvvisati esperti, non possono sovvertire una legge di natura, e sarebbe regressivo dipingere le donne come un inerte contenitore delle altrui azioni, perpetuando il mito di "soggetto debole" che è alla base delle discriminazioni di genere. In un mondo complesso e altamente competitivo la parità non si raggiunge gridando "al lupo" ogni volta che accade qualcosa di indesiderato o sconveniente, ma che lascia facoltà di scelta. Il diritto e la giustizia (civile o penale che sia) servono ad evitare la confusione dei due piani e i magistrati - non la pubblica opinione - sono i custodi di questa separazione, fermo restando che errori possono esserci, ma quando accadono sono - diversamente dalla credenza popolare - più frequentemente contro l' accusato che a suo favore. Il processo sfata un altro mito, ossia quello secondo cui alla difesa degli imputati di reati sessuali non sarebbe (più) permesso di porre alle vittime domande "indiscrete", o che possano ritenersi nocive della loro dignità, ancorché preordinate a saggiarne l' attendibilità e far emergere lacune e contraddizioni della loro narrazione. Il duro controinterrogatorio effettuato da Donna Rotunno a una delle vittime - durato tre giorni e interrotto per una crisi di pianto della donna - dimostra il contrario. L' abilità degli avvocati (e i penalisti americani primeggiano in questo campo) è un valore aggiunto nella ricerca della verità. Solo una lettura completa degli atti processuali potrà confermarlo, ma la sensazione è che la stessa condanna per le minori imputazioni sia traballante, forse dovuta a un imperativo categorico che si era formato prima del processo e che, nonostante la dichiarata imparzialità dei giurati, difficilmente non avrà attraversato le loro menti dopo due anni di crocifissione planetaria del personaggio, elevato a simbolo della lotta alla violenza di genere: «Non credo alla loro innocenza. Lo sguardo dice tutto. Colpevoli». di Zeus

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