Scontri violenti in Cina
Pena di morte ai rivoltosi
Il presidente cinese Hu Jintao ha rinunciato a partecipare ai lavori del G8 all'Aquila ed è rientrato in patria precipitosamente per far fronte alla crisi nel Xinjiang, la regione del nordovest della Cina dove 156 persone sono state uccise nel fine settimana in scontri tra membri della minoranza etnica degli uighuri e forze dell'ordine. Annunciando la decisione di Hu, che in precedenza ha compiuto una visita ufficiale di tre giorni in Italia, il ministro degli Esteri cinese Yang Jiechi ha sottolineato che la visita, nel corso della quale Hu Jintao ha incontrato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è stata "un grande successo". La delegazione cinese al G8 sarà guidata dal membro del Consiglio di Stato Dai Bingguo, aggiunge Nuova Cina. Rivoltosi a morte - Intanto il segretario del partito comunista cinese di Urumqi, capitale dello Xinjiang, non usa mezze parole e annuncia che saranno condannati a morte tutti coloro che verranno riconosciuti colpevoli di omicidio nel corso della sanguinosa rivolta. Stando ai funzionari del partito, la situazione nella città è sotto controllo dopo l'arrivo di migliaia di soldati, ma nel quarto giorno consecutivo della rivolta non sono mancati scontri, inseguimenti e persino linciaggi. E non convince nemmeno il sindaco di Urumqi, Jerla Isamudin che assicura in televisione che, dopo tre giorni di violenze, costate la vita ufficialmente a 156 persone e con un migliaio di feriti, la situazione è tornata alla normalità. Versione smentita dal Consiglio mondiale degli uiguri. Dolkun Isa, il segretario generale riferisce di 600 morti, forse anche 800. Molti di questi sono morti perché uccisi da gruppi di cinesi han e non solo nelle manifestazioni represse dalla polizia e dalle forze paramilitari. Il massacro in Cina - Testimoni riferiscono che stamattina la città di Urumqi, dove si è verificato il massacro, rimane tesa dopo una notte di coprifuoco. Reparti militari e della polizia pattugliano le strade in forze dopo che ieri sia gli uighuri che gli immigrati cinesi hanno protestato in piazza, rischiando di innescare nuove violenze. Secondo notizie non confermate, gruppi di uighuri armati di bastoni stanno fronteggiando la polizia in un quartiere musulmano. La stampa, a partire del Quotidiano del Popolo, il quotidiano del Partito Comunista, fa appello alla concordia e alla fratellanza tra i diversi gruppi etnici. I mezzi d'informazione cinesi sostengono che le vittime della violenza del fine settimana sono in gran parte civili cinesi attaccati dai giovani uighuri. I nazionalisti uighuri non negano che si siano verificati episodi di violenza contro gli immigrati ma solo dopo che la polizia aveva disperso con "eccessiva forza" una dimostrazione pacifica. Le orgini etniche delle 156 vittime delle violenze non sono state rese note dalle autorità.