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Smartphone controllati dai cinesi, le parole vietate: clamoroso in Italia, i modelli con cui ti spiano

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Marco Respinti
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Da tempo le guerre non si combattono più nei mari, nei cieli e tantomeno con gli stivali sul terreno, ma nell'etere delle comunicazioni, almeno quelle che si vogliono vincere. Chi lo sa bene è Pechino, che non da oggi studia come riscrivere la globalizzazione con caratteristiche cinesi e che, come tutti i despoti, sa bene quanto al momento buono convenga parcere subiectis. Nel mondo dei media vecchi (Internet) e vecchissimi (tutti gli altri) a conquistare il cuore e le menti dei vinti, potenziali e fattuali, ci pensa efficacemente l'ultimo smartphone o la social app alla moda. Per questo la Cina fa di tutto per controllare web e chiamate audio e video, arruola Tik Tok e piazza cimici 2.0 dove più può. Per esempio nei telefoni cellulari prodotti da Huawei e da Xiaomi. Se ne sono accorti in Lituania gli esperti della cybersecurity, che hanno fortemente consigliato a tuttele agenzie governative nazionali di non usare più i telefoni delle due marche, dopo che, al termine di una indagine accurata, sono risultate palesi diverse vulnerabilità a livello di sicurezza e di riservatezza. Secondo quanto appurato dal Centro sulla sicurezza informatica nazionale di Vilnius, due delle criticità maggiori sono legate alle applicazioni preinstallate nei telefonini (le hanno tutti, ma ogni modello ha le proprie) e uno all'impossibilità di garantire l'inviolabilità dei dati personali.

 

 

 

AZIENDE DI STATO

Industrie spione. No. Il nodo è che in Cina la proprietà privata vera non esiste e che anche i grandi colossi "privati" sono legati o debbono legarsi al regime comunista. Huawei è stata fondata nel 1987 a Shenzhen, nella provincia del Guangdong, da Ren Zhengfei, ingegnere civile che, dopo la laurea, è entrato nell'Esercito di liberazione cinese, lavorando nelle unità di ricerca informatica di Mianyang, nel Sichuan (anche se il Partito Comunista lo teneva lontano, visti i trascorsi dei suoi genitori legati ai nazionalisti del Kuomintang). Vecchia conoscenza al centro della lotta per il controllo del 5G, il cosiddetto Internet del futuro, Huawei ha affidato le proprie sorti economiche alla figlia del boss, Meng Wanzhou, in carcere in Canada dal 1° dicembre 2018 con l'accusa di spionaggio e il fiato del Dipartimento di Stato americano sul collo. Xiaomi è relativamente una new entry, affermatasi rapidamente sul mercato: nel 2020 ha venduto 146,3 milioni di smartphone e le stime dell'agosto 2021 danno il suo sistema operativo, MIUI (un Android modificato), adoperato da più di 450 milioni di utenti al mese. Il telefono Xiaomi che gli esperti lituani temono di più è il modello Mi 10T 5G, il top di gamma, lanciato esattamente un anno fa. Fra l'altro contiene una funzione che filtra liste di caratteri censurati da Pechino in continuo aggiornamento, attivabile da remoto. Tra i 449 caratteri censurati anche dal browser Internet installato per default ci sono quelli che significano «Tibet libero», «movimento democratico», «Viva Taiwan indipendente» e pare si possa sviluppare pure il riconoscimento di parole in alfabeto latino. L'azienda è stata fondata nel 2010 a Pechino dall'oggi milionario Lei Jun, che nel 2013 è entrato nell'Assemblea nazionale del popolo, il parlamento monocamerale cinese. Nel gennaio di quest' anno il governo degli Stati Uniti ha definito Xiaomi proprietà e braccio dell'Esercito cinese, poco prima che, in luglio, l'azienda si piazzasse al secondo posto nella vendita di cellulari nel mondo, battendo persino Apple, e giungesse prima in Europa e Italia. Già, l'Italia, che non sembra però allarmarsi come fa la Lituania. Finiremo tutti per installare la suoneria «Bella Xiaomi»?

 

 

 

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