Ucraina, Nicola Pedde: "Vladimir Putin non sta ancora facendo sul serio. Attacco nucleare, non è ipotesi reale"
Nicola Pedde, direttore dell'Institute for Global Studies, geopolitologo con studi presso il St. Johns University of New York e un dottorato in Studi Geoeconomici presso l'Università di Roma La Sapienza, spiega a Libero i perché della manovra militare "soft" che sta tenendo la Russia di Putin.
Prof. Pedde, il presidente bielorusso Lukashenko domenica aveva parlato di "guerra dei fiori", in riferimento alle avanzate col freno a mano tirato dell'esercito russo. È davvero così?
«Di certo l'operazione militare era iniziata con una strategia che poi è cambiata. La Russia ha esordito con un attacco massiccio iniziale basato sul piano della ricerca e distruzione delle catene di comando e controllo della difesa aerea ucraina, usando missili tattici e tecnologie intelligenti per distruggere la capacità contraerea di reagire».
Poi cos' è successo?
«Che in qualche modo la catena di comando e controllo ucraina ha resistito e coordina le operazioni. Sebbene la Russia abbia danneggiato la capacità di difesa aerea ucraina, la componente antiaerea funziona ancora, soprattutto basata su SAMs e MANPADs (unità di lanciarazzi mobili e seconde, NdR)».
Questo aumenta le difficoltà. Ma abbiamo visto anche immagini di carri armati russi senza carburante o persi per strada o impantanati...
«L'offensiva via terra era più contenuta in fase iniziale e poi pian piano aumentata. Mezzi corazzati e droni ucraini (di fabbricazione turca, NdR) per i russi sono un problema. E in effetti ci sono stati numerosissimi problemi nella catena logistica soprattutto nei rifornimenti. I russi sono avanzati anche così ma i problemi li hanno rallentati le porzioni di terreno occupate sono ampie ma non come nelle previsioni. In più, hanno subito pesanti perdite. Così sono passati al piano B...»
Che sarebbe non forzare la mano?
«Sì, i russi hanno cercato di evitare il coinvolgimento di civili nelle città evitando scene di distruzione totale come quelle viste a Grosny, in Cecenia. Ma quello era territorio della Federazione russa, questo no. Devono gestire questa operazione senza spargimento di sangue altrimenti diventerebbe ingestibile sul piano politico (verso l'Occidente già lo è) e sociale».
Quindi, oltre che per non coinvolgere gli ucraini, Putin vuole anche evitare che si inneschi un dissenso interno...
«Se la guerra dovesse andare per le lunghe la Russia dovrebbe fare sul serio e magari, al di là delle unità impiegate inizialmente che sono d'élite, la necessità di rafforzare il fronte comporterebbe anche l'invio del personale di leva, e nel Paese potrebbe avere un grosso impatto».
Ecco perché per ora ha coinvolto i battaglioni ceceni...
«Beh, certamente il loro impiego comporta meno implicazioni dirette tra i cittadini russi, e in più per via del loro addestramento sono più adatti perla guerriglia urbana che si sta innescando in alcune città. Ma comunque se la stasi negoziale continua Putin sarà costretto ad alzare il livello d'aggressività, con l'uso magari di missili balistici e bombardieri, ma comporta un alto prezzo da pagare: politico, economico, e vedremo gli effetti delle sanzioni, possibili rivolte di civili e oligarchi privati».
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Ieri in Bielorussia si sono tenuti i primi colloqui e ne verranno fissati altri già domani. Qualcuno però dovrà cedere qualcosa. Chi?
«Dubito che Putin possa accettare l'idea più o meno palese di una sconfitta sul campo di battaglia e c'è poco margine anche sul piano negoziale. L'Ucraina non accetta le amputazioni territoriali né un diktat russo sul territorio, è convinta di poter continuare a combattere con questo livello di intensità».
Con il supporto militare anche dell'Ue...
«Rispetto all'intransigenza già consolidata di Stati Uniti e Regno Unito, la posizione di forza dell'Ue è un elemento rivoluzionario: nessuno si aspettava in tempi brevi risposte politiche del genere. Io credo che non se lo aspettassero nemmeno i russi, che avevano la sensazione che gli europei si sarebbero divisi».
Ma migliorerà la situazione o la peggiorerà?
«La presa di posizione è corretta dal punto di vista del principio in sé, cioè limitare le pretese di Putin, ma inviare risorse, armi, contractors, rende possibile un'escalation».
Domenica Putin ha messo in allerta il sistema nucleare...
«Fa parte della narrazione politica e della volontà di avere potere negoziale, ma sgombriamo il campo da un equivoco...»
Quale?
«Che Putin sia un uomo solo al comando col dito sul bottone rosso che sgancia bombe atomiche. C'è un'intera catena di forze armate e intelligence da mettere d'accordo e lo abbiamo visto negli Stati Uniti all'epoca di Trump. Per arrivare a una soluzione del genere la strada è lunga e speriamo non ci si arrivi mai. Allo stato attuale non è un'ipotesi reale».
Torniamo alle negoziazioni. Ci sono ostacoli di carattere giuridico, no?
«Putin parla dell'art. 4 della NATO come pericolo per la Russia in caso di ingresso di Kiev nell'Alleanza per le rivendicazioni verso la Crimea. È chiaro che quando si negozia se si fa fedele riferimento alle carte, ai trattati e agli accordi il banco salta dopo un minuto. Serve interpretazione e compromesso. E del resto, anche l'Occidente deve rendersene conto...»
In che senso?
«La crisi in Ucraina non è storia nuova, si è incancrenita nel corso di 8 anni, e nessuno l'ha affrontata. Ora lo stallo deve essere gestito con pragmatismo. Detto francamente dal punto di vista logico è impossibile per la Russia accettare ad esempio la perdita della Crimea. La parte occidentale del Mar Nero è insostituibile strategicamente. Come potrà essere inserito negli accordi è un enigma ma deve essere uno dei punti su cui negoziare. Inoltre attenzione: in giro per il mondo ci sono alcune potenze che o non si sono espresse o nicchiano riguardo le pretese russe. L'Occidente è compatto ma non bisogna commettere gli errori ricorrenti e dobbiamo uscire dal margine di interpretazione di casa nostra, offrendo margini negoziali effettivi e realistici a entrambe le parti».
In più, c'è il rischio contagio. In realtà separatiste come l'Ossezia, o la Republika Srpska in Bosnia...
«Sì, bisogna impedirlo. Anche perché sono fronti aperti su cui le luci si spengono prima rispetto all'Ucraina e possono succedere cose gravi».