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Il patriarca Bartolomeo, "Vladimir Putin mi vuole morto": perché lo zar vuole la testa del capo della Chiesa ortodossa

Renato Farina
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C'è una notizia drammatica che arriva da Istanbul, dove il Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, ha denunciato pubblicamente di essere «personalmente» sulla lista russa dei personaggi da far fuori. Ortodossi russi che puntano la massima autorità dell'ortodossia mondiale per seppellirla e sostituirla con una più duttile? Perché no? Ma certo. Quella in corso nell'Est dell'Europa è (anche e magari soprattutto) una guerra di religione. Non che c'entri molto l'amore al Vangelo e al Nazareno, ma di certo nelle scelte strategiche di Putin e dei suoi nemici ucraini enorme è il peso della religione per quel che essa rappresenta nella storia viscerale dei popoli slavi, e si riflette nel presente della Russia e dell'Ucraina. La geopolitica e gli analisti da televisione hanno trascurato questo aspetto nell'interpretare l'evoluzione degli eventi. Siamo incapaci di immedesimarci nel "caldo" delle menti, che non sempre sono calcolanti come quelle dei ragionieri. I rapporti di forza economici e militari, il gas e i giacimenti di nichel sono importanti in questa contesa, ovvio, ma la memoria delle genti e la competizione per la primazia spirituale in certe parti del mondo sono capaci di spostare eserciti.

 

 

 

Eravamo abituati a riferire di guerre intestine all'islam tra sciiti e sunniti, ma per la prima volta in questo millennio ci tocca guardare il sangue sparso tra fratelli cristiani ortodossi. Non ci sono di mezzo dogmi, paiono questioni letteralmente di campanile, ma il polmone orientale dell'Europa respira al ritmo del potere spirituale: pensiamo alla Polonia di Wojtyla e Walesa, in positivo; in negativo, la dimensione dell'appartenenza religiosa ha scandito la storia con scismi e scomuniche più ancora che in Occidente. Basti pensare all'importanza che Solzenicyn attribuisce alla brutale persecuzione nel 17° secolo dei "Vecchi Ortodossi" da cui fa discendere addirittura le stragi comuniste del Novecento. Torniamo a Istanbul. È accaduto che mercoledì notte, nella città sul Bosforo, dove ha la cattedra, Bartolomeo, il patriarca ecumenico di Costantinopoli, ha denunciato al mondo che i russi vogliono ammazzarlo. Bartolomeo, che è amico di papa Francesco, ed è la figura più autorevole tra i vari patriarchi delle Chiese ortodosse, lo ha denunciato in una intervista alla Cnn turca: «Sono personalmente un bersaglio di Mosca». Insomma: un obiettivo di guerra. Lo vogliono eliminare. Ha detto queste parole con determinazione e insieme serenità. Perché mai volerlo morto? Per i russi la sua tonaca nasconde il principale macellaio di quella specie di squartamento nel corpo dell'eterna Rus'. Bartolomeo, obbedendo ai nazionalisti nazisti, «ha strappato non solo politicamente ma spiritualmente l'Ucraina dalla Russia», ha dichiarato il ministro degli esteri Sergej Lavrov a Le Figaro dell'ottobre 2018. Lavrov, non Kirill, il patriarca. Il Santo Sinodo da lui convocato a Istanbul aveva infatti deliberato sotto la sua presidenza di riconoscere quella ucraina come Chiesa auto-cefala, cioè obbediente solo a sé stessa, separandola da quella di Mosca, cioè dalla Russia. La sua decisione del 2018 è ritenuta perciò un casus belli, una gesto da nemico. La Rus' cristiana nacque nel nono secolo con la conversione del principe Igor di Kiev. Dunque Kiev è l'inizio della Russia, nessuno può separarla da quella essenza. Questo dichiarò già nel 2018 il Cremlino, che denunciò una rapina dell'unità della Chiesa 332 anni dopo il trasloco a Mosca, allora capitale, della sede del Patriarcato, lasciando al vescovo di Kiev il titolo di Metropolita. Kiev per i russi è Russia non Ucraina. Insomma fu Bartolomeo a riconoscere l'indipendenza della Chiesa di Ucraina, e il metropolita Filaret divenne patriarca, strappando Kiev dalla giurisdizione canonica di Mosca, insieme a 5.000 parrocchie, rivendicandone altresì altre 8.000 con preti e fedeli rimasti fedeli a Mosca.

 

 

 

KIRILL IN SILENZIO

Solo in quel momento ci fu la vera separazione lacerante, da allora è "scisma", E da quelle parti gli scismi si traducono in guerre. Il patriarca della Russia Kirill per questo non ha detto una sola parola contro l'invasione di Putin, anzi ha dichiarato proprio il giorno della «operazione speciale» che «stiamo vivendo un tempo di pace». Non la pensano come lui però molti pope, i preti ortodosssi russi: in 286 hanno scritto una lettera dove chiedono la fine delle ostilità e condannano l'aggressione (286 ma neanche un vescovo o un metropolita tra loro). Eppure il rappresentante del patriarca di Mosca a Kiev, il metropolita Pavel, insediato nel monastero di Lavra per incarico e sotto la giurisdizione di Kirill, ha paura che Putin non riconosca la sacralità di Kiev, considerata dai russi e dagli ucraini la seconda Gerusalemme, e distrugga le sue meravigliose chiese. E lo supplica di rinunciare. Niente da fare. Putin si sente un cavaliere dell'Apocalisse dalla parte giusta della storia e nella schiera benedetta benedetta da Dio. Ha aggiunto Bartolomeo: «Oggi vediamo quanto avevamo ragione di prendere quella decisione(...) Tuttavia, vorremmo che lo Stato e la Chiesa russa non mostrassero tanta animosità verso di me e il patriarcato e che accettassero questa decisione. Ma non è questo il caso, il nostro patriarcato ed io, come persona, siamo diventati un target da colpire». Insomma. Gli slavi non hanno mai fatto distinzioni chiare tra Dio e Cesare: si chiama cesaropapismo, ed è la commistione tipica dell'ortodossia tra i poteri che Cristo nel Vangelo volle separare, ma qui non ci sentono. Cesare (da cui viene la parola Zar) non ha mai troppo distinto tra la giurisdizione sui corpi e quella sulle anime. Di cui il Patriarca è un junior partner, un socio ma di minoranza: a prevalere è chi dispone della polizia e dei servizi segreti. Così, come ha più volte il Papa di Roma ha temuto e ha scongiurato non accadesse, questa guerra folle ha il carattere scandaloso di una strage tra cristiani. 

 

 

 

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