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Barack Obama, gli Stati Uniti non reggono più due guerre: ecco perché è colpa sua

Carlo Nicolato
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Immaginate quello che nessuno si augura, e cioè che Putin invadesse un altro dei Paesi occidentali confinanti e la Nato fosse costretta a entrare nel conflitto. Immaginate poi che a questo punto la Cina ne approfitti entrando anche lei in guerra per prendersi Taiwan e le altre isole contese con Giappone, Vietnam e Filippine. Sarebbe la Terza Guerra Mondiale, qualcosa di molto simile alla seconda con la Russia al posto della Germania nazista e la Cina al posto del Giappone.

Ma in questo caso l'America sarebbe in grado di reggere entrambi i fronti come fece 80 anni fa? Al netto dell'immensa capacità di conversione produttiva del Paese la risposta è no, almeno per il momento appunto, e la colpa è dell'ex presidente Obama che dieci anni fa aveva decretato obsoleta e mandato in soffitta la "dottrina delle due guerre". Partendo infatti dal presupposto che gli Stati Uniti non avessero più bisogno di combattere su più fronti l'ex presidente e l'allora segretario alla Difesa Leon Panetta optarono per una strategia che privilegiasse un solo grande fronte e piccole crisi "pop-up". L'idea, ha spiegato a Fox News, Dakota Wood, ricercatore senior per i programmi di difesa presso la Heritage Foundation, era quella che tutte le crisi fossero risolvibili per via commerciale e quindi «c'era la percezione che un grande esercito fosse inutile».

 

 

La "dottrina delle due guerre" era nata appunto come esigenza immediata nella Seconda Guerra Mondiale, con i due fronti in Europa e nel Pacifico, ma si era poi sviluppata durante la Guerra Fredda, con la Corea e il Vietnam, e aveva trovato la sua applicazione anche in tempi più recenti con le contemporanee guerre in Afghanistan e in Iraq. Dopo le riduzioni volute dal duo Obama-Panetta, specie in ambito navale (570 unità alla fine degli anni '80 contro le 296 oggi), secondo Wood attualmente l'America non sarebbe in grado di reggere i due fronti, specie contro due potenze militari come la Russia e la Cina, entrambe dotate di bombe e testate nucleari.

L'allarme peraltro era già stato lanciato lo scorso anno dopo il quadriennio "pacifista" e isolazionista di Trump e l'arrivo alla Casa Bianca di Joe Biden, considerato già all'epoca di Obama più avvezzo alla guerra di quanto non fosse il suo principale finto pacifista. Un documento uscito a giugno scorso del Mitchell Institute for Aerospace Studies dell'AFA (Air Force Association), un importante think tank americano incentrato sulla sicurezza nazionale, sosteneva che Biden avrebbe dovuto fare un passo indietro tornando appunto alla "dottrina delle due guerre" e di conseguenza rafforzando la potenza militare del Paese.

 

L'incapacità di prepararsi a due guerre, una nell'Indo-Pacifico e una in Europa, "manda l'esatto messaggio sbagliato" agli avversari americani disse ai tempi Mark Gunzinger del Mitchell Institute. «Esiste il pericolo» prevedeva con incredibile precisione l'analista, «che la Cina possa percepire un'opportunità per un'invasione a Taiwan mentre la Russia invade l'Ucraina o i Paesi Baltici». Secondo il generale in pensione David A. Deptula dello stesso istituto gli Stati Uniti devono «aumentare selettivamente le dimensioni di alcune delle loro forze», puntando in particolare su armamenti e strategie che possano ripristinare un deterrente convenzionale credibile. E se le armi più tecnologicamente avanzate non sono sufficienti allora «dovremmo considerare seriamente» di compensare la debolezza convenzionale perseguendo armi nucleari a basso rendimento, che è proprio quell'ambito dove i russi sono superiori agli americani. Ma questo vale per il futuro. Per il momento, l'America potrebbe essere costretta a scegliere su quale dei due fronti giocare la partita più importante. Europa o Indo-Pacifico?

 

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