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Marine Le Pen: Emmanuel Macron fuori dal mondo. Un messaggio per Matteo Salvini e Giorgia Meloni

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Marine Le Pen all'Eliseo? Non succede. Ma se succede? Più ancora che sui numeri del primo turno delle presidenziali francesi (28% Macron, oltre il 23 la Le Pen), grosso modo in linea con sondaggi che lasciavano pochi dubbi sui protagonisti del ballottaggio previsto per il 24 aprile, si dovrebbe riflettere sia sulla sopraggiunta competitività della cultura di governo esibita dall'eterna candidata del sovranismo d'Oltralpe sia sugli eventuali effetti d'una sua inattesa vittoria sull'incumbent Emmanuel Macron: forse improbabile ma non del tutto irrealistica. Due temi evidentemente intrecciati e sui quali le prefiche del nostro giornalismo liberal si esercitano da alcuni giorni: per chi suona la campana di Parigi? Siamo vicini alla presa della Bastiglia? L'unità dell'Europa e gli interessi strategici occidentali potranno sopravvivere all'affermazione d'un Rassemblement national tradizionalmente filo-russo? Dopo la schiacciante riconferma al potere dell'ungherese Viktor Orbán, il populismo sovranista si accinge a vivere un'inquietante second life come quinta colonna del putinismo antioccidentale? Insomma esiste davvero questo fantasma che s' aggira per il Vecchio continente - altra metafora abusata con disinvoltura da numerosi nipotini di Karl Marx cresciuti al caldo dell'Alleanza atlantica - osi tratta soltanto di pigre fantasticherie e riflessi condizionati?

 

 

INUTILE CAMBIO DI LOOK - Diamo per scontato, per puro esercizio di stile, che finisca per fallire il progetto macroniano di allestire un nuovo fronte repubblicano tale da garantirgli la permanenza al potere. Ebbene il primo responsabile dell'insuccesso sarebbe proprio l'inquilino dell'Eliseo, l'enarca e banchiere che ha voltato le spalle alla Francia profonda preferendole la vanità d'una proiezione internazionale personalistica e nemmeno troppo in armonia con le aspettative di Washington. Il distacco apolide di Macron dalle aspettative di un elettorato impoverito e spaventato dall'inflazione poteva funzionare con la protesta eversiva dei Gilet gialli, non con il popolo profondo di una nazione rurale giunta alla resa dei conti con i problemi della quotidianità aggravati dal conflitto tra Mosca e Kiev.
Un fenomeno ben visibile nell'immagine propagandistica di un presidente che, invece di confrontarsi con i rivali davanti all'opinione pubblica in dibattiti programmatici, ha preferito scimmiottare con pose caricaturali l'outfit spettinato e militaresco dell'omologo ucraino Zelensky, ricercando invano un posto d'onore al tavolo (immaginario) dei negoziati per una tregua sul fronte orientale.

Nel clamoroso vuoto politico lasciato dai fallimenti gollisti e socialisti, il calco negativo di questo errore ha presentato il conto con il volto di Jean-Luc Mélenchon (La France Insoumise), a quanto pare indisponibile a regalare l'anima del radicalismo goscista a un'ordalia repubblicana contro le destre che nel frattempo si sono riavvicinate malgrado le divisioni interne. Con i voti dei Républicains di Valérie Pécresse (tra il 4 e il 5%) lasciati alla libertà di coscienza e quelli dell'anomalo estremista Éric Zemmour (al 7%) naturalmente proiettati verso la Le Pen, gli ingredienti della tempesta perfetta ci sono tutti. E stavolta non si può nemmeno accusare la scaltra Marine d'aver beneficiato dei rubli di Putin, il quale da quasi un decennio ha chiuso ogni rapporto di collateralismo finanziario con l'ex Front National.

 

 

E veniamo al dunque. Mentre Macron peccava di presunzione assolutistica, Marine girava per paesi e mercati rilanciando i temi canonici di un orgoglio francese, parlava la lingua della gente comune contraria all'immigrazione sregolata e avanzava con passo cadenzato nelle rilevazioni del consenso pubblico e, chissà, anche di quello sommerso nell'astensionismo. Senza per questo sfuggire alle domande meno centrali ma più spinose di politica estera: abbandonare la Nato? No, soltanto quel seggio nel "Comando militare integrato" del Patto Atlantico rifiutato da Charles De Gaulle e prepotentemente riottenuto da Nicolas Sarkozy nel 2009 per legittimare la proiezione neocolonialista di Parigi in Nord Africa e Sahel che con le successive Primavere arabe avrebbe destabilizzato l'intero quadrante del Mediterraneo allargato pur di accrescere la propria sfera d'influenza energetica a spese degli alleati (in prima fila l'Italia).
Senza contare che lo stesso Macron ha più volte mostrato di voler garantire al progetto di difesa comune europea un'autonomia strategica rispetto alla dialettica Nato/Russia-Cina. E ancora: uscire dall'Unione europea? Nemmeno: è un capo d'accusa privo di fondamento che si basa sulla volontà lepenista di lasciarsi alle spalle l'astratta idea degli Stati Uniti d'Europa per una più concreta Europa degli Stati sovrani. Che poi è un adagio coniato da Giorgia Meloni, la quale assieme a Matteo Salvini dovrà maneggiare con cura gli esiti del voto transalpino.

 

 

ALLEATI CONSERVATORI - Se Marine diventerà la regina di Francia, dipenderà anche dallo stilnovo comunicativo da lei praticato per rendersi - complice lo spauracchio Zemmour - meno demonizzabile agli occhi di un elettore medio che ama la Francia più dell'Europa ma non intende certo finire nell'orbita orientale post sovietica o nel cono d'ombra delle nazioni di Visegrad, dove peraltro la special relationship con una Polonia fieramente anti-russa è divenuta paradossalmente un lasciapassare atlantista.
Su questo crinale, la Meloni parte avvantaggiata essendo bene introdotta a Washington in qualità di presidente dei Conservatori e Riformisti europei. Ma a ben vedere anche Salvini - alleato del Rassemblement a Strasburgo - avrebbe qualche buona carta da giocare se rinunciasse a un uso contundente dell'eventuale vittoria della Le Pen per gettare invece di comune accordo un ponte post-sovranista verso l'Europa popolare e conservatrice.

 

 

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