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Bucha, insabbiare le stragi è un'abitudine russa: il filo rosso sangue che parte da Katyn

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Francesco Carella
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Le fosse comuni di Bucha e gli orrendi crimini commessi dai russi ai danni della popolazione ucraina non sono, purtroppo, una novità. Si tratta solo dell'ultimo capitolo di un libro nero segnato da crimini e violenze che vede la Russia come protagonista per gran parte del Novecento. L'episodio più clamoroso fu quello che si consumò nella Polonia orientale all'indomani del Patto Ribbentrop-Molotov, quando in due mesi, fra aprile e maggio 1940, su ordine del Politbjuro gli aguzzini dell'NKVD con mostruosità scientifica passarono per le armi quindicimila cittadini polacchi.

 

 

 

Morirono con un colpo alla nuca ufficiali, imprenditori, professionisti, sacerdoti, e molti funzionari pubblici. L'indicazione partita da Mosca era chiara: procedere all'eliminazione della classe dirigente polacca. Stiamo parlando del massacro di Katyn, dal nome della località presso Smolensk, dove furono scoperte dalla Wehrmacht nell'aprile '43 fosse comuni con cadaveri accatastati a migliaia. Intorno a quella mattanza la propaganda sovietica costruì una gigantesca operazione di falsificazione - tesa ad attribuire la colpa della strage ai militari tedeschi - durata quasi cinquant' anni che ricorda, per molti versi, ciò che in questi giorni stanno cercando di fare Vladimir Putin e i suoi collaboratori. Nel 1989 finanche Michael Gorbaciov si oppose a che venissero aperti gli archivi e resa verità e giustizia alle vittime di Katyn. Di parere diverso fu il presidente Boris Eltsin, il quale pochi anni dopo, consegnò al suo omologo polacco Lech Walesa la documentazione relativa agli ordini di sterminio partiti da Mosca.

 

 

 

Prese corpo in quei primi anni '90 la speranza che la verità su quanto accadde nella foresta polacca fosse destinata ad essere raccontata nella sua interezza grazie al nuovo corso e all'apertura degli archivi. Ma così non è stato. Nel 2004 la Procura militare della Federazione russa decise di archiviare definitivamente l'inchiesta. Sono gli anni in cui Vladimir Putin rallenta la marcia verso la democratizzazione della Federazione russa. Oggi sappiamo che il falso storico su ciò che avvenne nel bosco di Katyn poté riuscire anche grazie a una certa freddezza da parte degli anglo-americani in ragione della necessità di non compromettere i rapporti con Stalin. Winston Churchill accantonò la vicenda definendola «di nessuna importanza politica». Stalin ne approfittò per accreditare ulteriormente la tesi del Cremlino e per avviare una campagna di violenta delegittimazione nei confronti dei membri della Commissione medica internazionale voluta dal Terzo Reich, diretta da una personalità scientifica di indiscusso valore qual era il professor Naville. Di quella commissione fece parte anche lo scienziato italiano Vincenzo Palmieri, il quale divenne il bersaglio di una campagna denigratoria orchestrata dal Pci e guidata da un dirigente di primo piano come Mario Alicata. Le lezioni di Palmieri all'Università di Napoli venivano regolarmente interrotte da studenti comunisti che lo accusavano di essere un nazifascista. Molti docenti, cosiddetti democratici, proposero addirittura il suo allontanamento dalla cattedra. La richiesta fu respinta con forza dal Rettore, quel galantuomo di Adolfo Omodeo. 

 

 

 

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