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Battaglione Azov, "morti per fame". Indiscrezione agghiacciante dall'acciaieria

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La sconfitta del Battaglione Azov val bene, per i russi, la vita (e la morte) di centinaia di migliaia di ucraini. Quelli bloccati a Mariupol, insieme ai soldati del reggimento asserragliato nei bunker delle acciaierie Azovstal, e quelli delle altre città assediate dall'esercito di Vladimir Putin con metodi medievali. Quando il presidente ha ordinato una settimana fa al suo ministro della Difesa Sergej Shoigu di "preservare la vita e la salute dei nostri soldati e dei nostri ufficiali", stoppando il blitz nei sotterranei e sottolineando la necessità di "non far entrare o uscire da lì nemmeno una mosca", intendeva proprio questo. Ridurre alla fame il Battaglione nazionalista (per Mosca, neo-nazista) protagonista della guerra nel Donbass dal 2014. 

 

 

 


Uno strumento, sottolinea l'inviata di guerra della Stampa Francesca Mannocchi, tragicamente noto agli ucraini, quello della "fame". Non a caso, fin dall'inizio della guerra, i russi hanno volutamente provocato una "crisi alimentare nel paese e nel mondo", come strumento di pressione per obbligare Kiev alla resa e l'Occidente a trattare, con un coltello puntato alla gola (e uno alla pancia).

 

 

 

Bloccati gli aiuti umanitari, forzatamente bloccate le esportazioni via mare, l'economia agricola messa in ginocchio. E le città assaltate e tagliate fuori dal resto del mondo, con carenza perfino di acqua. Non solo, Mariupol, ma anche Chernihiv o Kharkiv. Sono i metodi usati dai soldati russi intervenuti in Siria, al fianco dell'esercito regolare di Bashar Assad. Sono gli stessi metodi usati da Stalin negli anni Trenta, la carestia studiata a tavolino contro gli ucraini, l'holodomor ("morte per fame") che provocò nel Paese 4 milioni di vittime. Ed è questo, forse, il destino che aspetta i miliziani di Azov.

 

 

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