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Guerra, l'arma segreta degli ucraini sul campo: così Kiev sta stupendo il mondo

Maurizio Stefanini
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«Nel fango insanguinato della schiavitù mongola e non nella gloriosa rudezza dell'epoca normanna è nata quella Moscovia di cui la Russia moderna non è che una metamorfosi», scrisse Karl Marx nel 1857. «Non è ancora morta la gloria dell'Ucraina, né la sua libertà,/ a noi, giovani fratelli, il destino sorriderà ancora./ I nostri nemici scompariranno, come rugiada al sole,/ e anche noi, fratelli, regneremo nel nostro Paese libero./ Daremo anima e corpo perla nostra libertà,/ e mostreremo che noi, fratelli, siamo di stirpe Cosacca», sono le parole dell'inno nazionale ucraino Sce ne vmerla Ukrajiny: composto nel 1862 dall'etnografo ucraino Pavlo Chubynskyj, e musicato l'anno dopo dal sacerdote greco-cattolico Mychajlo Verbyc'kyj. Sono due testi quasi contemporanei, risalenti a quel periodo cruciale in cui vennero a fuoco molte identità nazionali: compresa l'Italia risorgimentale. Anche Vladimir Putin nel momento in cui ha iniziato questa guerra si è rifatto a quelli russi della Rus di Kiev: nata dall'incontro tra una élite guerriera vichinga (i vareghi) e gli slavo, poi illuminata dall'incontro col cristianesimo bizantino di cui dopo la caduta di Costantinopoli i Granduchi di Mosca si proclamano eredi - Terza Roma - come Zar: "Cesari". L'Ucraina è dunque rivendicata come culla di cui la Russia non può fare a meno, e la fede ortodossa è buttata in faccia alla "decadenza" dell'Occidente.

 

 

IL GIOGO MONGOLO - Marx però ricordava quell'altra tesi, secondo cui nel 1240 quando la Rus di Kiev è abbattuta dai mongoli quel legame si spezza. La Russia è appunto la zona che finisce sotto il dominio dei conquistatori asiatici, che le danno un micidiale imprinting di autoritarismo da cui non sarebbe in pratica mai riuscita a liberarsi. L'eredita dei normanni, creatori dei più antichi parlamenti del mondo tra Islanda e Inghilterra e Sicilia, resta invece in quelle zone che si sottraggono all'invasione mongola mettendosi rispettivamente sotto la protezione della Polonia (l'Ucraina) e della Lituania (la Bielorussia). Direttore dell'Osservatorio Ucraina all'Istituto Gino Germani e autore di cinque libri sull'Ucraina, Massimiliano Di Pasquale è anche lui dell'idea che l'unione a Polonia e Lituania significhi «l'apertura a una cultura europea dove esiste il Diritto». La fede ortodossa, è vero, mantiene sia in Ucraina che in Bielorussia una identità separata rispetto al cattolicesimo dei dominatori, anche se in Ucraina occidentale questi favoriscono la formazione di una chiesa cattolica di rito orientale. Però in quella Confederazione Polacco-Lituana che all'inizio dell'era moderna è il più grande Stato d'Europa, appunto, le particolarità locali sono salvaguardate dal Sejm: un parlamento che semmai eccede in garantismo. Prevede infatti un voto unanime che paralizza le decisioni, e favorisce tre successiva spartizioni.

 


LA FINE DEGLI IMPERI - L'Ucraina è così divisa tra una parte orientale integrata nell'Impero zarista, dove il "cattolicesimo greco" è vietato; e una parte occidentale integrata nell'impero asburgico, dove è invece favorito. Tra 1917 e 1918 con lo sfasciarsi dei due imperi si formano le due repubbliche della Ucraina Occidentale e Orientale, che per breve tempo si riunificano, per poi venire di nuovo spartite: l'Est all'Urss; l'Ovest tra Polonia, Cecoslovacchia e Romania. Insomma, l'Ucraina Occidentale non viene integrata nel mondo russo che dopo la Seconda Guerra Mondiale. A tal punto i 47 anni di sovietizzazione non sono riusciti a cancellarne la marcata impronta mitteleuropea, che lo stesso Putin le riconosce quando dice che quella non è «vera Ucraina», e che bisogna «ridarla a Polonia, Ungheria e Romania». Attenzione, però: anche l'Ucraina orientale è integrata nel mondo zarista solo dal XVIII secolo. Pur scritto nella parte mitteleuropea del Paese, l'inno ucraino si ricollega a quel mito cosacco che invece nasce a Est, e che è alla base di quell'immaginario di guerrieri libertari ora riportato in auge dalla resistenza popolare contro l'invasione. Un gruppo di soldati ucraini si è perfino fatto una foto riproducendo in divise moderne "I cosacchi dello Zaporozh' e scrivono una lettera al sultano di Turchia": famoso quadro di Ilya Repin in cui si vedono i cosacchi ucraini rispondere a una intimazione di sottomissione con una serie di insulti.

 

 

TRACCE DI OCCIDENTE - Servi della gleba fuggiti nella steppa per recuperare la loro libertà, «rifiutando di riconoscere l'autorità di qualsiasi sovrano, i Cosacchi Zaporoghi si autogovernavano secondo le tradizioni e le abitudini che si erano evolute nel corso delle generazioni», spiega Orest Subtelny nel suo "Ukraine. A History". «Tutti avevano uguali diritti e potevano partecipare ai frequenti e chiassosi consigli (rady) in cui solitamente la spuntava la fazione che gridava più forte. Questi incontri estemporanei eleggevano la leadership cosacca (...). Durante le campagne militari, l'autorità di questi ufficiali (hetman), era assoluta. Ma in tempo di pace il loro potere era limitato». Rady, da cui il termine Rada che oggi designa il parlamento ucraino, viene dal tedesco Rat: "Consiglio". E hetman è dal tedesco Hauptmann: "Capitano". Segnali ulteriori di una mediazione tra cultura slava e mondo mitteleuropeo, che è la scommessa che l'Ucraina di oggi cerca di riproporre.

 

 

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