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Papa Francesco, retroscena: rovinoso fallimento della trattativa segreta su Mariupol, chi ha fregato il Pontefice

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Trattative segrete sono state intrecciate tra Papa Francesco e il patriarca Kirill per fermare la guerra in Ucraina e per organizzare corridoi umanitari per l'evacuazione di civili a Mariupol. Trattative che però sono fallite o per l'opposizione dei russi o per la inaffidabilità di Kirill totalmente sottomesso al regime di Vladimir Putin, come riporta L'Espresso. "È frustrante, troppo frustrante. Nient’altro", dice l'arcivescovo Visvaldas Kulbokas, agente diplomatico vaticano, da settembre nunzio apostolico a Kiev.

Quello che emerge nell'inchiesta de L'Espresso è che il 22 marzo l'ambasciata ucraina presso la Santa Sede ha comunicato che Zelensky aveva ricevuto una "promettente" telefonata da Papa Francesco. Del resto Bergoglio, sfruttando le relazioni già avviate da Joseph Ratzinger, aveva lavorato molto per l'unità dei cristiani e aveva intensificato i contatti con la Chiesa ortodossa.

 


 
Grazie a Papa Francesco, infatti, c'è stata la doppia evacuazione degli orfanotrofi di Vorzel e Kherson avvenuta fra il 9 e il 10 marzo per curare decine di neonati. Fu infatti il Vaticano a intercedere con i generali russi per ottenere una tregua. Tregua che però non è arrivata per Mariupol. Il 23 marzo, infatti, su mandato del Pontefice, la segreteria di Stato col cardinale Pietro Parolin aveva ordinato alla nunziatura di Kiev di preparare un piano per entrare in sicurezza con un convoglio di almeno 50 autobus a Mariupol e aprire un corridoio umanitario per salvare 2500 civili. La prima bozza prevedeva una missione a Mariupol di un vescovo cattolico e di un vescovo ortodosso. Per la Chiesa di Roma era pronto monsignor Pavlo Honcaruk, vescovo della diocesi di Zaporizhia. "Poi ci siamo accorti che il livello era insufficiente per convincere i militari russi". 

 

 

Quindi il Vaticano aveva cercato appoggio nella Chiesa di Mosca. Il patriarca Kirill I è ed era in una posizione scomoda ma aveva poi accettato di partecipare al convoglio per Mariupol. Un segnale importante che significava che la missione era svolta in nome del patriarca di Mosca e del pontefice di Roma. Ma il 27 marzo, data scelta per la partenza della delegazione, i generali russi hanno ignorato il pontefice e il patriarca. E hanno continuato a sparare impedendo alla carovana cattolica e ortodossa di entrare a Mariupol. "Un fallimento, un dolore. Un costo enorme. Un costo che non possiamo misurare", spiega Kulbokas, "in mezzo ci sono vite che non abbiamo potuto sottrarre alla furia degli spari. È frustrante non riuscire a soddisfare le richieste di chi sta per morire. È molto complicato da accettare".

 

 

Da quel 27 marzo la diplomazia ha visto la pace sempre più lontana. Kirill ha accolto Putin alla messa della Pasqua ortodossa, il Papa ha cancellato l'incontro fissato a giugno a Gerusalemme con Kirill, forse per non inchinarsi a Mosca o forse per non imbarazzare lo stesso patriarca. 

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