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Lugansk, teste mozzate e infilzate sulle picche: l'orrore di Vladimir Putin

Renato Farina
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Bisogna guardare questa immagine in ginocchio. È l'unica posizione decente che ci è concessa per non trasformarci in voyeur complicit. La foto è ripugnante, ma quella testa infilata su una picca, offerta ai corvi del Donbass, non è ripugnante, è qualcosa che somiglia al capo mozzato di Giovanni Battista nel quadro di Caravaggio che fa piangere chiunque lo contempli nella cattedrale di Malta: qualcosa di sacro, a quelle guance livide san Francesco darebbe una carezza, e bacerebbe le due mani inchiodate alla recinzione. Noi non siamo capaci. Ma metterci in ginocchio possiamo, chiedendo perdono di essere uomini, e di non aver fatto di tutto per fermare l'atrocità di questa guerra che si combatte ai confini dell'Europa.

 

Una testa infilata su una picca, e due mani inchiodate ad una recinzione. Abbiamo cercato invano la prova che fosse un falso. Niente da fare. Tutto congiura a ritenerla il documento autentico della tortura e della decapitazione di un prigioniero dell'esercito ucraino finito nelle grinfie degli armigeri al servizio di Putin. Qualcosa di simile - ma non esiste nulla di simile, ogni persona morendo lo fa come nessun'altra prima di lui - avevamo osato pubblicarlo su Libero nel maggio del 2004 quando dedicammo la prima pagina a Nick Berg, al suo volto implorante e stravolto, ormai staccato dal suo corpo e dalla vita, ad opera di Al Zarqawi e della sua banda di tagliagole islamici. Non abbiamo il diritto di girarci dall'altra parte. Noi osiamo proporla, con tremore e pietà, ma anche indignazione e desiderio di giustizia, per ricordare che cos' è la guerra.

 

Piano piano, dopo il 24 febbraio, data dell'aggressione russa, le immagini nella nostra mente prima rosse del sangue versato, si sono stinte, si sono fatte sfuocate e pallide. Finché, di colpo, con il rumore secco di una saracinesca che si chiude, abbiamo smesso di pensare e di sentire la guerra come ecatombe di bambini, madri, soldati vecchi e giovani bruciati o sventrati, e l'abbiamo ridotta alle conseguenze sul nostro Pil nazionale e soprattutto familiare. Siamo passati dal colore del sangue all'odore del metano. Non siamo anime belle, è nella nostra natura, coincide con l'istinto di sopravvivenza, ma anche con il tarlo del menefreghismo. Basta così. È tempo di ripulirci gli occhi dai numeri e ripetere a noi stessi come Ernest Hemingway nell'incipit di "Per chi suona la campana" i versi immortali di John Donne (1573-1651): «Ogni morte d'uomo mi diminuisce, perché io partecipo dell'umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: Essa suona per te».

Ecco la storia di questa immagine, e della sua terribile verità, almeno come siamo stati capaci di ricostruirla. La sua diffusione virale sui social è stata innescata il 6 agosto da un tweet di Mikhail Khodorovsky, notissimo milionario russo, in esilio a Londra, da dove guida con "Open Russia" l'opposizione al regime putiniano venendone qualificato come "agente straniero". Khodorovsky ha postato la fotografia, firmata da Olena Sumina, prima intera, poi ingrandendo i particolari dello scempio, con queste parole: «Riuscirà la Russia a riprendersi e a tornare nella comunità delle nazioni civili? Intanto sta portando l'oscurità del Medioevo ai suoi vicini e ai popoli di tutto il mondo».

 

LE CONFERME
I primi commenti sono di orrore. Al quesito sulla possibile redenzione della Russia le risposte sono tutte negative: Adam Backer: «Non durante la nostra vita». La Russia sara un paria tra le nazioni, dopo questi orrori. Altri: «Forse tra un secolo, ma solo se il popolo si pentirà». Finché arriva la domanda fatale: «Ma questa immagine è reale?». Interviene l'autrice della fotografia, Olena Sumina in ucraino: «Sono davvero orchi. XXI secolo, da Popasna occupata, un teschio umano nel giardino. I russi non sono umani, siamo in guerra con i non umani».

A questo punto interviene un negazionista, che si firma Yaj: «A chiunque pensi che queste immagini siano reali, tutto quello che posso dire è lol (= risata, ndr). WOW. Non è difficile capire che si tratta di CGI (=Immagini Generate al Computer, ndr) e chiunque abbia mai giocato a un videogioco può dare un'occhiata alle teste e capire che sono ovviamente finte». Magari fosse così. Un internauta spagnolo è riuscito a geolocalizzare la scena del crimine, basandosi sui dettagli della foto, e in particolare sul cartello stradale, confermando che si tratta della Nahirna vulytsya, Via della Montagna, n. 21 di Popasna, una città ucraina nella regione di Lugansk che è stata occupata dalle truppe cecene l'8 maggio. Ceceni!

SU TELEGRAM
Risaliamo all'origine, alla fonte. Olena esiste. Ha scattato la foto il 25 luglio. Il giorno dopo la immette su Telegram Serhiy Gaidai, governatore della regione di Lugansk, quasi tutta occupata dai russi. Passano pochi giorni e Anton Gerashchenko, ex viceministro degli Affari interni ucraino, rivela che la fonte originaria del video è un canale Telegram russo che se ne vanta: «Le VSU (Forze Armate Ucraine, ndr) demilitarizzate e i nazisti denazificati nel Donbass appariranno qui».

P.S. Ci sono certo anche atrocità dell'altra parte, quella ucraina, in un filmato di cui pubblichiamo un frame si vede la milizia che alla periferia di Kiev insegue un ragazzo colpevole di aver parlato in russo da una cabina pubblica. Si mostra il pestaggio. Poi puntano le armi... La guerra è sangue (degli altri). Io non mi assolvo.

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