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Vladimir Putin? Lo zar si sente debole e vuole trattare: ecco come agire

Pietro Senaldi
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Oggi Vladimir Putin incontrerà il presidente turco Re cep Erdogan, ma la notizia è che il dittatore russo freme per un appuntamento con Joe Biden, che potrebbe avere come teatro il vertice del G7 a Bali, Indonesia, a metà novembre. È più che un segnale di distensione, è la prima vera speranza dell'avvio di un processo di pace. Sia chiaro che se si è arrivati fin qui non è grazie alle sfilate che si terranno da domani, organizzate da organizzazioni cattoliche, Pd ed M5S, per invocare una soluzione della crisi mettendo fiori nei cannoni. Queste pagliacciate vengono interpretate, correttamente, da Mosca come una prova della mollezza dell'Occidente. Se Putin si orienta verso un accordo è perché sta perdendo sul campo. Trentamila uomini dell'Armata Rossa, accerchiati a Kherson, rischiano una Stalingrado rovesciata. Altri centoventimila militari sono morti o sono stati gravemente feriti in sette mesi di conflitto e trecentomila giovani russi hanno lasciato il Paese per evitare l'arruolamento. Quindi se la guerra, un giorno lontano, finirà senza l'annientamento dell'Ucraina, che avrebbe significato agli occhi del mondo intero e non solo dei russi, una resa dell'Occidente, è grazie all'invio di armi a Zelensky. Non le nostre, che sono per lo più simboliche, ma i missili a medio raggio americani, che hanno capovolto le sorti del conflitto. 

 

 


«Putin è razionale, ha solo sbagliato i calcoli» ha dichiarato il presidente americano, per una volta non facendo gaffe. E in effetti è così: dopo il disonorevole addio a Kabul dei marines, a Mosca avevano pensato che il tramonto dell'Occidente, annunciato dal leader russo in un'intervista del 2019 al Financial Times, sarebbe stato inesorabile e che non vi sarebbe stata una risposta internazionale all'invasione. Ecco l'errore: Washington non poteva permettersi una figuraccia anche a Kiev e ha reagito; come ha reagito alle minacce russe di passare alla guerra nucleare, alle quali ha risposto spiegando chiaramente al nemico quale sarebbe stata la contromisura, micidiale. Putin è pronto a trattare perché ha bisogno di una via d'uscita onorevole per non rischiare la destituzione in patria, che potrebbe essere una buona notizia ma anche portarci un nemico perfino peggiore. Il guaio è però che ora gli Stati Uniti non hanno un solo problema in Ucraina, ossia lo zar, ma ne hanno due. Il presidente Zelensky infatti, ebbro di vittorie, sta tirando il guinzaglio, chiede armi, vuole avanzare, progetta conquiste. Il Cremlino però non accetterà mai di venire a patti con lui e agli Usa, che ne hanno fatto un eroe, tocca toglierlo dal tavolo della trattativa per avviare la pace. Non è una mossa che può essere brusca, per questo l'amministrazione americana finora finge di fare orecchie da mercante alle profferte putiniane; ma prima o poi accadrà e qualche segnale al presidente comico è già stato dato.

 

 


La pace avverrà sopra la testa degli ucraini e coinvolgerà non solo gli Usa, ma anche la Cina, la Turchia e probabilmente l'India. Ahinoi, non l'Europa, dove pure l'Ucraina si trova, ma questo è colpa unicamente delle istituzioni comunitarie, che in occasione della guerra hanno dimostrato tutta la loro inadeguatezza, inoffensività e marginalità. Tra uno, due anni, dal conflitto fra Mosca e Kiev, ma sarebbe più corretto dire fra Mosca e l'Occidente, uscirà un nuovo ordine mondiale, che ci vedrà ancora più periferici, per la felicità dei girotondari un tempo rossi e ora giallorossi. A furia di ballare intorno al proprio ombelico i pacifinti sinistri, che se governano si mettono l'elmetto ma se perdono le elezioni tornano loro stessi e sfilano con le bandiere arcobaleno, hanno perso il senso d'orientamento, non riuscendo più a distinguere tra Paesi democratici e regimi dittatoriali. In Italia almeno per un po' non dovrebbero fare danni. Non è un'occasione da perdere.

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